Lo scandalo messo in scena

Intellettuale ed estremo, il discorso teatrale di Castellucci si rivolge ad un pubblico culturalmente preparato, lo provoca sul mistero della Salvezza e lo interpella sulla fede nel volto con cui Dio si manifesta

Alla fine di tutto – le grida, gli anatemi, i rosari – l'allestimento di Romeo Castellucci sul concetto di volto nel Figlio di Dio è andato in scena all'Auditorium Melotti di Rovereto, martedì sera. E ora finalmente si può dire qualcosa, con cognizione di causa.

L'allestimento – il termine "spettacolo" è del tutto inadeguato in questo caso – è forte ma anche semplice. Certamente intellettuale, ma teologico. Tratta una materia incandescente e sceglie di trattarla con modi altrettanto estremi, con un iper-realismo che diventa simbolico. L'idea di fondo che si percepisce è quella di porre a confronto con un'icona sacra del volto di Cristo, un'icona dell'umanità ferita rappresentata nei suoi estremi che si rimandano l'un l'altro: un vecchio cadente, umiliato dal non saper più controllare neppure le funzioni elementari del suo organismo, che deve affidarsi come un infante alle cure (premurose e pazienti) del figlio; dei bambini che usano la violenza come un gioco, del tutto inconsapevoli di ciò che fanno.

Non a caso la scelta iconografica del regista è andata sul Salvator Mundi di Antonello da Messina, l'opera che neanche tre anni fa era in mostra nella sua integrità negli stessi spazi del Mart che ospita il Melotti. Castellucci sceglie di ritagliare il solo volto di Cristo, mettendo fuori campo la parte più rivoluzionaria dell'opera di Antonello, quelle mani benedicenti che si sporgono dalla superficie della tavola e sembrano entrare direttamente nel nostro spazio umano, a congiungere idealmente i due spazi, il trascendente e l'immanente. Riunire l'umano "caduto" al divino è il gesto della salvezza.

Castellucci elimina la soluzione di Antonello, facendo così rientrare il volto di Cristo nella categoria dell'icona sacra e ponendogli davanti una rappresentazione radicale dell'Umano che ha disperatamente bisogno di salvezza. Il congiungimento tra i due piani che opera, in prima battuta, è contrario a quello dell'artista rinascimentale, va dall'uomo al salvatore, nel gesto del figlio desolato che, all'ennesima incontinenza del padre, va ad appoggiarsi – come in croce – al Volto, il suo volto sulla bocca del Cristo, in una muta invocazione che viene esplicitata dall'unica voce femminile che risuoni in scena: "Gesù, Gesù, Gesù…".

Quel volto rimane fermo e per certi versi imperturbabile a guardare lo spettatore negli occhi, anche quando i bambini in totale inconsapevolezza, come nel passaggio da un gioco all'altro, cominciano a bersagliarlo di pietre che sembrano esplodere come granate. E mentre la violenza del gesto gratuito ed empio, tanto più sconvolgente perché agito da bambini, percuote lo spettatore insieme alla violenza degli scoppi, il suo sguardo muto non distoglie gli occhi da noi, e ci interpella. Come già accadde, storicamente.

E poi anche l'imperturbabilità del volto si rompe: l'effigie luminosa si oscura e viene distorta, viene rigata da un liquido che scende dalla testa, il velo viene squarciato e compare la scritta luminosa sul fondo nero "You are my shepherd" (sei il mio pastore), e il volto di Cristo ricompare luminoso sotto quella scritta ma ora è contraffatto, il Salvator Mundi è diventato Ecce Homo. E se lo sai, a fianco di "You are" (tu sei), puoi individuare sfocata la scritta "not" (non).

Che compaia o non compaia, lo scandalo resta quello dell'Incarnazione, di una risposta alla miseria della condizione umana che passa non attraverso un gesto potente che trasformi in modo eclatante quella condizione ripristinando l'Eden, ma attraverso un Dio che scende a farsi carico lui stesso del male, dell'ingiustizia, e li riscatta nell'amore, continuando a credere nella presenza e nella bontà di Dio, anche nella sua assenza. Apparente, ma percepita come tale anche dal Figlio sulla croce.

Uno scandalo da sempre. Che le urla di questi giorni non fanno che confermare. Peccato provengano dalla parte che dovrebbe essere in grado di capire, e di fare ciò che Tommaso non seppe fare il giorno di Pasqua.

Al di là delle scelte artistiche di un regista che sono discutibili e vogliono esserlo – resta aperta la problematica dell'utilizzo della violenza nella rappresentazione (per Romeo Castellucci così come per Mel Gibson) e resta aperta la questione etica di utilizzare dei bambini in scena in un gesto così forte – la polemica preventiva di questi giorni, porta alla luce in primo luogo le fragilità e le paure di una parte del mondo cattolico che si aggrappa violentemente a un'immagine e un'interpretazione del sacro che Cristo, con la sua morte, ha definitivamente strappato, dall'alto verso il basso, quando ha squarciato il velo del tempio.

Dopo duemila anni, l'uomo non riesce ancora ad accettare l'abolizione della separazione tra ciò che è sacro e ciò che è mondano. Non riusciamo ancora a sollevare lo sguardo sul volto sfigurato del "servo sofferente" e ad accettare che è lui il Dio con noi che ci salva. Kyrie eleison.

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