Batti il chiodo finché e caldo!

Contavano velocità e precisione: con incudine e martello erano in tanti, in val di Ledro, a fabbricare le broche, che servivano a chiodare le suole degli scarponi

“Per camminare in montagna ci volevano le broche, senza non si faceva. Mi piace raccontare ai giovani la vita de ‘sti ani, di come si tribolava ma si era contenti ugualmente”

Qual è il suo mestiere?

Il mio mestiere è “far le broche”, cioè fabbricare chiodi. Non lo faccio per lavoro, ma come dimostrazione per le scuole o per i turisti.

Come è nata la sua passione?

Ho fatto il vigile del fuoco per 33 anni, poi sono ritornato al paese. Mi ricordavo dei ciuaroi e ho pensato di riprendere la tradizione delle broche; da giovane avevo provato a farle, con buoni risultati. Mi sembrava bello far conoscere questo antico mestiere che era tipico della mia valle, la val di Ledro: era un lavoro duro ma aveva permesso alla nostra gente di vivere discretamente. E raccontarlo soprattutto ai giovani, che penso che le broche… buio completo! È anche un modo per raccontargli com’era la vita una volta.

Perché in val di Ledro questo mestiere era così diffuso?

Per l’abbondanza di acqua, che era la forza motrice di una volta. Noi avevamo il fiume che veniva giù dal lago di Molina: la sua acqua abbondante faceva funzionare i macchinari per lavorare il ferro. Anche per la prossimità di miniere di ferro i ledrensi cominciarono a trascurare la pastorizia, specializzandosi nella produzione di chiodi.

A che cosa servivano le broche?

Venivano adoperate per chiodare le suole degli scarponi da montagna. Erano indispensabili al contadino o al montanaro per avere appiglio. Anche l’esercito, durante la prima e anche la seconda guerra mondiale, si forniva delle nostre broche per gli scarponi degli alpini e della fanteria. Per camminare in montagna ci volevano le broche, senza non si faceva.

Quando furono inventate?

Intorno al 1900. I chiodaioli le consegnavano alle cooperative, che le raccoglievano e impacchettavano e le spedivano a chi faceva richiesta, all’esercito o ai privati. In tutto i ciuaroi in val di Ledro erano una quarantina, forse anche di più. Lavoravano in tre diverse fucine.

Come si fanno le broche?

Nelle fucine c’era un fuoco, alimentato ad aria, e un’incudine fatta apposta, con degli stampi. Con gli strumenti necessari si scaldava il tondino di ferro e con il martello si modellavano le broche. Era un lavoro duro e anche non tanto sano, per via del fumo. Ma non c’erano maschere e pertanto si respirava tutto…

Quanti chiodi si costruivano al giorno?

Dipende. Di quelli più grandi circa mille al giorno; di quelli più piccoli, più semplici da fare, anche 1500. Per farne uno ci volevano dai 25 ai 40 secondi. Era la velocità che contava: il ferro doveva essere rosso incandescente per far la broca, appena si raffreddava non riuscivi più a lavorarlo. Ci voleva anche precisione.

Quanti tipi di broche c’erano?

Ci saranno stati 20-25 tipi, che avevano diverse forme in base a dove si posizionavano sulla suola, e anche diverso valore. Per esempio la broca “a zappa”, la più comune, si piantava all’esterno della suola, e aveva la gamba di diverse lunghezze. La broca “a pianta o a cinque colpi” si fissava nella parte centrale. La più difficile da fare era la “cantonale” o “ad angolo”, perché richiedeva due “calde” per essere preparata.

Se ci sono ancora, quante persone fabbricano tuttora le broche?

Siamo in quattro o cinque a portare avanti la tradizione. Abbiamo una piccola fucina, con quattro incudini e col fuoco, che apriamo occasionalmente per le dimostrazioni. Facciamo tutto come una volta, con lo stampo per le broche più piccole o con il martello per quelle più grandi. Ma non c’è più nessuno che fa il ciuarol di mestiere, perché nessuno usa più gli scarponi con le broche: solo per qualche ricorrenza storica, o cose simili.

Quando e perché sono scomparse le broche?

Alla fine della guerra, nel 1945. Sono arrivati gli americani, che sotto le scarpe avevano la gomma: la chiamavano vibram. Era più comoda per camminare, più leggera, e costava meno delle broche. E non succedevano più una serie di inconvenienti: pensate, per esempio, la domenica mattina quando si entrava in chiesa, che rumore sul marmo… Poi con i pavimenti di oggi se entravi in casa con le broche… ti saluto!

Le piace fare questo lavoro?

Sì, mi piacciono i mestieri de ‘sti ani, e specialmente mi piace far conoscere ai giovani come si lavorava. E come si tribolava, anche, perché era un lavoro duro, ma si era contenti ugualmente. Oggi, dico la verità, ci lamentiamo ma stiamo meglio di una volta.

Non ci sono giovani che vogliono fare questo mestiere?

Abbiamo fatto dei corsi, ma non è facile come sembra… Purtroppo credo che tra 10-15 anni non ci sarà più nessuno capace di fare le broche. È un vero peccato.

Intervista a cura della classe I A della scuola media Salesiani di Trento

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