“Dopo Lahore, in Pakistan abbiamo paura”

La testimonionanza di Bonnie Mendes, amico di mons. Bressan: “In quei giorni però furono gli stessi mussulmani a difendere i cristiani dai gruppi violenti”

“La strage di Pasqua a Lahore ha lasciato un grande senso d'insicurezza e di paura in tutto il Pakistan”. Con voce sofferta Bonnie Mendes, uno dei leader dei diritti umani in Asia, racconta a Vita Trentina quell'attacco criminale. “In Pakistan sono molto sentite le feste di Natale e Pasqua – ci spiega il prete pakistano a casa dell'amico Luigi Bressan, con cui domenica ha celebrato in Cattedrale – tanta gente va in chiesa e poi si ritrova il giorno dopo. Chi ha attaccato il parco di Lahore a Pasquetta forse non sapeva di questa grande concentrazione di persone. L'attacco è avvenuto domenica sera e ha causato 79 morti, in maggioranza dei quali mussulmani e anche 300 feriti gravi”.

“Eppure la gente non ha smesso di andare in chiesa, anzi è ancora più decisa a rimanere cristiana”, osserva ora Mendes che è stato a lungo segretario della Commissione Giustizia e Pace del Pakistan e coordinatore della Caritas per tutti i Paesi dell'Asia. Si è capito di chi è la responsabilità della strage? “Una fazione di talebani, ve ne sono molti gruppi sempre più pericolosi, non c'è un'unica regia. La stampa ha scritto che si tratta di Jamat ul Ahrar. Vorrei però sottolineare anche la reazione di tanti fedeli mussulmani: nei giorni successivi per proteggere i cristiani gli stessi maulana (le autorità mussulmane, n.d.r.) hanno creato una catena umana davanti alle chiese, lasciando questo messaggio: “chi vuole uccidere i cristiani, prima deve uccidere noi!”.

La posizione del governo pakistano? “Vorrebbe proteggere la gente ma non è possibile mettere al sicuro 4 milioni di cristiani di cui un milione e 800 mila cattolici. Ci sono i controlli, ma nelle chiese piccole o negli spazi aperti, come si fa?”. Personalmente hanno attentato alla sua vita? “Sì, sono stato minacciato. Una volta sono stato anche imprigionato e rilasciato: “Stai attento a lavorare per la pace…” mi hanno detto e il mio cappellano era molto agitato”. Un giorno gli dissero che volevano bombardare la sua scuola cristiana perchè inculcava valori falsi: “Dietro alla nostra delegazione sono venuti anche tanti bambini e questo li ha fatti desistere dal progetto. Purtroppo però nella zona di Swat una scuola gestita da religiose è stata bombardata: ora è chiusa ma i genitori ci chiedono di riaprirla”.

E' pessimista o ottimista per il suo Paese? “Il cristiano deve sempre avere speranza, anche se la sfida è sempre più impegnativa. Abbiamo bisogno della vostra preghiera e anche dell'incoraggiamento attraverso i media e la Rete”. Sul piano ecclesiale crescono forte le vocazioni: “Dovremmo però sostenere adeguatamente i formatori”.

Quali sono le urgenze nel campo dei diritti umani in tutta l'Asia? “Il dialogo con i poveri, con le altre religioni, con le altre culture. Sono le tre priorità in tutti i Paesi. Papa Francesco piace molto alla nostra gente, anche per quanto ha scritto nella Laudato Sii su questi temi”.

Prima di congedarci Mendes ci tiene a richiamare la condizione di Asia Bibi, la cristiana pakistana condannata a morte per presunte offese a Maometto: “Non hanno mai portato le prove, molti invece si sono espressi in sua difesa, anche il fratello del primo ministro Bhatti, perchè non vi fossero più discriminazioni”.

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