Il “souvenir” più importante

I racconti delle persone incontrate, le immagini dei luoghi e delle persone che si sono rialzati dalle macerie

Ciò che colpisce di più della Ex-Jugoslavia è la sua normalità. Non fosse per la lingua differente e non conoscessi il suo passato non ti renderesti nemmeno conto di avere attraversato un confine. Il pullman avanza inoltrandosi nei Balcani passando per Slovenia, poi Croazia per raggiungere la Bosnia Erzegovina. Sei seduto che guardi il paesaggio scorrere davanti ai tuoi occhi e in quel momento pensi a quello che ti è stato raccontato a proposito di quei luoghi, della guerra che ha fatto tremare la spina dorsale di quella infinita distesa di montagne, di come la gran parte del mondo si sia girata di spalle.

Avvicinandosi a Mostar, prima tappa del viaggio d’istruzione, cominci a notare i segni fisici, le cicatrici visibili del conflitto. Intravedi case crivellate da colpi d’arma da fuoco, intravedi cimiteri fatti di centinaia di lapidi bianche che riflettono la luce calda del mattino. Come hai visto nelle foto prima di partire. Adesso però ti ci trovi davanti. Quando sarai a Sarajevo potrai passare le dita in quei segni sulle pareti degli edifici. Potrai toccare con mano. Cambia tutto. E così cominci a guardare quei luoghi con un occhio differente, più consapevole. La fantasia ti porta indietro nel tempo e immagini di essere stato lì a correre per quelle strade con le braccia strette attorno alla testa, con il terrore di essere colpito da un proiettile, oppure di essere sdraiato in cima ad una collina, in un prato verde, l’occhio vigile che guarda attraverso il mirino della tua arma da cecchino e punta con la canna del fucile l’altro te che si protegge scappando fra le case. Come a Sarajevo. Un tuo conoscente serbo, con cui avevi sempre cordialmente parlato, dalla collina aspettava che tu passassi nel suo campo visivo per atterrarti. Come a Mostar. Ma mentre la tua è solamente fantasia, in quelle città, come in tutta la Bosnia, questa divisione accadde veramente. La tua fantasia si concretizza nei racconti fatti di realtà, di esperienza diretta, delle persone che hai incontrato durante il viaggio d’istruzione. Il generale che, seppur serbo, si schierò dalla parte dei musulmani-bosniaci assediati a Sarajevo; il giovane bosniaco che visse la sua infanzia durante l’assedio, l’uomo e le donne che persero il padre, il marito, i figli nella strage a Srebrenica. Il racconto delle loro esperienze dirette, vissute sulla loro pelle, è il “souvenir” più importante che porto a casa da Sarajevo e dalla Bosnia, assieme alle immagini stampate nella mia mente dei luoghi e delle persone che con una spinta si sono rialzati dalle macerie. Riconosco agli abitanti la grande forza che li ha spinti a voltare pagina, tenendo ben presente quelle precedenti. E li ringrazio per averci resi partecipi della loro storia, che deve essere raccontata e tenuta viva, per non dimenticarsene un’altra volta.

Luca Pecile

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