“Basta narcisismo dell’io, è ora di comunicare il noi”

SOMMARIO: “I nuovi media – dice il sociologo trentino – hanno finora incentivato il narciso che è in noi. Ma siamo a disagio perché in fondo ci manca qualcosa, il volto dell’altro” “Tutto ciò che non aveva valore economico non aveva dignità di esistere. Ma ora il sociale, buttato fuori dalla porta, rientra dalla finestra”. “Perché non usare i new-media per una enorme campagna che porta all’associazionismo reale?“ “La Chiesa deve inventarsi il suo algoritmo in funzione delle relazioni”

Nadio Delai, Papa Francesco nel suo messaggio per la 50ª Giornata delle comunicazioni sociali, domenica 8 maggio dell'anno giubilare, invita a far incontrare comunicazione e misericordia. A lei il binomio cosa suggerisce?

Dice una cosa di fondo che ci interessa tutti e cioè la fine del ciclo centrato sull'io fino all'egotismo spinto per passare ad un ciclo che ha caratteristiche più ricche, centrate sul noi. Questo passaggio non è tuttavia automatico, è da costruire. Mentre il primo è palesemente finito e stiamo vivendo i cascami di questo innamoramento dell'io arrivato alla competizione, quello del noi è più un bisogno, un atteggiamento di fondo e il Papa ha colto appieno questa necessità di apertura verso l'altro. Nel 2010 feci un'indagine sulla domanda di vita buona degli italiani: i segnali erano presenti già da allora.

Quindi l'esplosione delle possibilità di comunicazione, grazie allo sviluppo digitale, non ha dunque favorito la crescita del noi, piuttosto il contrario?

Fino ad ora i nuovi media hanno incentivato non solo l’io, ma il narciso in senso proprio. Molti di questi strumenti lavorano su base narcisistica. Facebook è l’esempio più evidente perché è rispecchiamento di sé, e sugli altri come sé: quelli che ti assomigliano ti sono amici, tutti gli altri vengono esclusi. Per adesso lo strumento non è stato aperto al noi e alla comunicazione sul sociale. Non significa che non possa essere usato in funzione della relazione e della solidarietà.

Qualche esempio virtuoso?

I meetup, cioè l’uso dello strumento come occasione di confronto, non in modo ideologico ma di discussione vera. Diciamo che il marchingegno che si è messo in piedi finora è un algoritmo auto-riferito all’io. Ma nessuna vieta di costruirlo aperto al noi. Certo il passaggio non è affatto scontato perché gli strumenti sono nati nel pieno della bolla dell’io. Serve un riesame.

Ma per trasformarli in strumenti del noi, chi deve prendere in mano la situazione?

Non servono atti miracolistici o spontanei. Spetta a chi fa classe dirigente, e il Papa ne fa parte, come pure a ciascuno di noi, interpretare questo nuovo ciclo. Si fatica ad abbandonare il vecchio, ma stiamo già a disagio perché in fondo ci manca qualcosa, il volto dell'altro perché non si vive di solo io. Purtroppo abbiamo vissuto questi ultimi trent'anni all'insegna di questa ideologia economica e sociale. Il sociale è stato scacciato dalla porta perché non aveva diritto di cittadinanza. Tutto ciò che non aveva valore economico non aveva dignità di esistere. Oggi che succede? Il sociale, buttato fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Le grandi aziende mi chiedono di ristabilire il ciclo della fiducia. Ora, la responsabilità sta nella voglia di guardarci dentro e vedere la forza di recuperare la dimensione del noi. Come dice Recalcati, il grido del bambino che chiama la madre è inconsapevolmente la cellula di base del ciclo del noi. Dobbiamo rispondere a questo grido di tutti, che ha bisogno di trovare rispondenza, ma non nel rispecchiamento narcisistico.

La Chiesa si pone l'interrogativo sulle modalità di presenza dentro la cultura mediatica. Talora sembra di ripercorrere la diatriba tra apocalittici ed integrati evocata da Eco. Esiste davvero una via mediana per essere portatrice del “noi”?

Sì, se si comprende che il problema non è il medium, ma la reinterpretazione di quello che posso essere o diventare. Tendiamo a parlare della protesi e non del corpo. La Chiesa deve inventarsi il suo algoritmo per usare le protesi in funzione delle relazioni. Perché io posso usare il virtuale per creare situazioni reali. C'è un testo bellissimo di Cassano intitolato “L'umiltà del male”. Il messaggio è che il bene corre il rischio di essere troppo superbo, chiuso nella sua torre. Bisogna imparare, nel bene, l'umiltà del male che si infila dappertutto. La domanda sociale di relazionalità è fortissima. C'è spazio e bisogna starci dentro. La Chiesa faccia il meetup a modo suo, trasformi in algoritmo la misericordia.

L’assalto mediatico rende sempre più complesso il compito educativo che resta non solo per la comunità ecclesiale un fronte caldo. Consigli?

L'anno scorso ho elaborato un rapporto dedicato all'associazionismo dei giovani, che sollecita la relazione materiale, fisica. E' emerso che più del 50% dei giovani sono soli perché non hanno nessun gruppo stabile di amici neanche da bar a cui fare riferimento. Il 60% riconosce esplicitamente che fare un po' di attività associativa darebbe molto di più, servirebbe persino ad entrare nel mondo del lavoro. Invece tutte le preoccupazioni sono sul lavoro e sulla formazione. Manca la terza gamba. Perché non usare i new-media per una enorme campagna che porta all'associazionismo reale? Ma non sto parlando solo di volontariato in senso assistenziale. Ma del piacere di stare insieme fisicamente, toccarci, parlarci guardando l'altro negli occhi. Io ho fatto vent'anni di scoutismo e mi hanno cambiato la vita.

Ma questo non significa fare comunque un passo indietro rispetto all'uso dei mezzi?

La comunicazione sociale oggi è solamente orizzontale, iperframmentata, a flash, due battute, un tweet. Perfino Renzi è un orizzontale. Più che un passo indietro, dovremmo provare a recuperare un senso di verticalità che è andato perdendosi, ovvero la capacità di argomentazione e di sintesi. E poi ricostruire la fiducia. Ma se io retribuisco il mio amministratore delegato quattrocento volte l'ultimo impiegato, dove va la fiducia?

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