Il buon carbone

Al Parco dei Mestieri nel giardino vescovile è stata riproposta la realizzazione di una carbonaia dagli ultimi carbonèr di Bondone di Storo. Il significato di una tradizione

Per un pugno di carbone. Domenica scorsa l'antico mestiere dei carboner, che per decenni ha fornito la sussistenza agli abitanti di Bondone, è stato rivisitato e rievocato al Parco dei Mestieri della Montagna. Dal piccolo comune al confine con Brescia è sceso nel cuore della città un gruppo di volontari guidati dal sindaco Gianni Cimarolli e dall'assessore alla cultura Chiara Cimarolli che di buon mattino hanno predisposto legname e materiale per la realizzazione della carbonaia e per la cottura della tipica polenta carbonerà. Un'immersione in una pratica in uso fino agli anni Settanta e decisiva per garantire un'entrata economica alla famiglia (spesso numerosa) durante il periodo estivo.

Con la benedizione dell'Arcivescovo emerito Luigi Bressan, presente anche nel 2009 quando gli amici di Bondone esordirono al Parco, l'anziano carbonaio Dario (vista l'assenza temporanea del “collega” Piero) si è fatto aiutare dal giovane Mansueto ad eseguire ed illustrare passo per passo la costruzione del poiat, dal quale – dopo una lenta cottura della legna – usciva un carbone di ottima qualità. “Era molto importante – ha spiegato Giampaolo Capelli, appassionato “cantore” del passato del suo paese – predisporre e sistemare prima con perizia la catasta di legna intorno al palo centrale; quindi, ricoprirla di foglie e terra e poi, tolto il palo, inserire il fuoco al suo interno. In base alla grandezza del “poiàt”, il carbonaio dopo l'accensione doveva controllare giorno e notte che non andasse a fuoco, altrimenti era vanificato il lavoro di molte ore”.

Abbiamo quindi assistito al momento emozionante della “cavata” del palo interno, che consentiva poi di estrarre il carbone di gran qualità: “un carbone che deve… cantare”, sottolineava Capelli. L'oro nero veniva poi messo nei sacchi e portato a spalle dai “portì” (i portatori) fino alla banchina dove arrivavano i carri dei “cavalèr” per arrivare poi ai commercianti della zona.

Il carbonèr Dario ha dimostrato di saper rinnovare alla perfezione l'arte appresa a 14 anni dai genitori. “Anche i miei nonni mi hanno consegnato questa tradizione” – osservava il sindaco Gianni Cimarolli – “e farla rivivere in queste occasioni è un modo per rinsaldare l'appartenenza al nostro piccolo Comune, presentandoci ai villeggianti e ai passanti con quest'identità ancora vivace”. Un rito che affonda nella preistoria, come ha confermato il direttore del Museo degli Usi e Costumi Gianni Kezich che stimola queste rievocazioni: “Nello stesso termine di poiàt – ha detto l'antropologo – troviamo la una radice che ci riporta ai forni fusori e alle attività di fusione che hanno impegnato nei secoli precedenti gli abitanti delle terre alte”. Un'indagine sulle origine e i collegamenti di queste tradizioni nell'arco alpino è ancora in corso e la giornata al Parco dei Mestieri, “sponsorizzata” dal nostro settimanale Vita Trentina, rappresenta una tappa ben documentata.

“La polentà è cotta!” Al richiamo del capocuoco Marco assieme a Carletto e Diego anche i ragazzi hanno sospeso la costruzione del loro “poiàt” artigianale per assaggiare l'oro giallo della tipica produzione di Bondone, arricchito da un condimento appetitoso. In un clima da festa campestre, uno dei mestieri più antichi ha lasciato così il posto alle chiacchiere e ai ricordi, come avveniva sui monti di Storo nei giorni della fienagione. L'appuntamento ora è per domenica 31 luglio quando a Bondone si riaccenderà il fuoco per l'annuale festa del carbonaio (con la polenta).

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