“Prendi la vita come viene”

Giovanni Michelotti “Chitaro”, è il nonno del paese. Ad aprile ha spento 104 candeline: un bagaglio di storia e di vita

Giovanni Michelotti è conosciuto da tutti come “il Gioanin Chiataro” ed è il nonno di Drena. Vi è nato il 19 aprile del 1912 e, poche settimane fa, ha tagliato il traguardo dei 104 anni. Per l'occasione ha ricevuto anche la visita del sindaco di Drena Tarcisio Michelotti e dell’assessora Sara Bombardelli.

In oltre un secolo di vita, Giovanni ha viste davvero tante e grazie alla disponibilità dei nipoti e dei figli siamo riusciti a ricostruire la sua lunga vita, non certo scontata, vissuta tra il paese natale e la guerra, nella semplicità di chi ha saputo portare avanti una famiglia, senza lasciarsi travolgere dagli eventi, lottando per la propria esistenza e per quella dei propri cari.

Non conobbe mai il padre Valentino che a pochi mesi dalla sua nascita dovette lasciare la moglie Assunta per andare in America alla ricerca di soldi e di fortuna, ma da quel viaggio non fece più ritorno. Ne conserva una grande fotografia mentre suonava la chitarra: la sua infatti era una famiglia di musicisti e da questo probabilmente deriva il loro soprannome, i “Chitari”, appunto.

Dopo un’infanzia difficile lavorò alla costruzione della strada Gardesana di Limone e, in seguito, la sua vita, come quella di molti altri giovani dell’epoca, è stata travolta dal secondo conflitto mondiale. Dopo cinque anni, al fronte tra Albania e Grecia, trascorse due anni di prigionia, nel campo di concentramento tedesco di Buchenwald in Turingia, dove ha trascorso due anni in prigionia. Il suo compito era quello di scavare la fossa per quelli che morivano prima di arrivare ai forni crematori, “quelli che non era necessario bruciare nei forni, perché cedevano alla morte per malattia, per fame, per violenze di ogni genere”, racconta nella ricostruzione della sua storia realizzata grazie anche all’aiuto della nuora Maria, pubblicata da Judicaria nel 2011.

Un'esperienza rimasta impressa in Giovanni in maniera indelebile al punto che, ricordano i parenti “per molti anni, di notte, riviveva quell’incubo, si svegliava di soprassalto e urlava. Non c’è modo infatti di dimenticare certe ferite che ti segnano nel profondo e, anche se non si vuole, in qualche modo esplodono all’esterno”.

Il suo ritorno a Drena è stato visto dalla madre e dalla moglie come un vero e proprio miracolo della Madonna di Fatima, alla quale la comunità di Drena aveva eretto un santuario come ringraziamento per non aver subito bombardamenti durante il conflitto. Dopo averlo rivisto nel ’43 in una licenza di tre giorni, la famiglia lo credeva morto; poi l’8 settembre 1946 il campo di concentramento venne liberato dai Russi e Giovanni, dopo un lunghissimo viaggio in treno, riuscì a fare ritorno a casa dove l’attendeva anche la primogenita Angiolina.

La famiglia di Giovanni si allargò ulteriormente con Giannina e Rinaldo, e ora anche tanti nipoti e pronipoti che possono attingere tanta storia e tanta saggezza dalle parole di quel loro nonno che ne ha viste davvero tante nella sua vita.

Negli anni si è prestato più volte a raccontare le sue testimonianze di guerra e ne è sempre stato felice. “È buona cosa che ci sia, ed abbia la testa e l’animo di raccontare ancora”, aveva spiegato. “I testimoni di quell’orrore, per ragioni anagrafiche sono sempre meno. È importante che, ricordando e raccontando, possano portare un contributo di conoscenza soprattutto alle giovani generazioni”.

È proprio vero, concludeva nel racconto la nuora, che chi ha passato e superato prove molto difficili, dolorose, nella vita acquisisce una marcia in più, quella che lo rende vivace e speciale, ottimista e positivo. E a chi gli chiede se nella vita gli è mancato qualcosa Giovanni risponde: “Vuoi star bene? Prendi la vita come viene”.

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