Fra Amministrative e referendum

È quasi sospesa la politica italiana, in bilico fra le attese per le elezioni amministrative e l’inizio, abbastanza virulento della battaglia per il referendum confermativo delle riforme costituzionali. Tutto viene letto, ormai lo sappiamo, come una occasione per testare la tenuta della svolta di Renzi, anche se entrambe le occasioni non sarebbero esattamente l’occasione giusta per una verifica di questo tipo.

Per fortuna si è evitato in extremis di indulgere al solito passo indietro sulle giornate da dedicare alla tornata elettorale. La riforma che finalmente ci conformava a tutti i paesi, cioè votare in un solo giorno, sembrava messa in discussione dalla solita italica furbata: se concediamo di votare anche in un giorno di lavoro, incentiviamo la partecipazione di tutti quelli che vi trovano un’occasione per assentarsi dal lavoro per qualche ora. Renzi sembrava non insensibile alle argomentazioni del ministro Alfano, ma alla fine ha verificato che il cambiamento avrebbe solo creato un po’ di polverone politico.

Naturalmente si sprecano le attese per una tornata elettorale che dovrebbe farci capire dove si dirigono gli umori di fondo del paese, in particolare dovrebbero testare di quanto credito godano i Cinque Stelle e in che stato si trovi il centro-destra. Anche sul PD qualcosa di più si potrebbe capire, ma poco: non ha da nessuna parte veri leader suoi in campo, a parte Fassino a Torino e, impegnato in una specie di missione impossibile, Giachetti a Roma. In realtà sarà come sempre difficile distinguere quanto i risultati che si otterranno nei vari contesti siano imputabili al traino delle politiche nazionali e quanto rispecchieranno dinamiche strettamente locali.

Per queste ragioni il premier tutto sommato rimane distante dalle contese amministrative, che non si prestano molto alla sua strategia nazionale. L’unica eccezione potrebbe essere Milano, perché lì si sperimenta in qualche modo quella che potremmo definire, con qualche forzatura, una coalizione a trazione tecnocratico-borghese. Altrove prevalgono molto i condizionamenti delle varie esperienze locali.

In questo clima Renzi comincia a preoccuparsi per il referendum sulle riforme costituzionali. I sondaggi, per quel che valgono, danno i sostenitori del “no” o leggermente avanti o alla pari con quelli del “si”, ma soprattutto i contrari sono scatenati. E’ vero che sono una specie di armata Brancaleone in cui si trova di tutto: da avversari politici la cui credibilità come difensori della Costituzione vigente lascia molti dubbi (si pensa a FI e Lega che in età berlusconiana la volevano cambiare ben più sostanzialmente perché mettevano in discussione anche la prima parte, oggi non toccata), ma anche da tutta quella “sinistra” nostalgica che vede il premier come il fumo negli occhi. Da questo punto di vista per esempio la decisione dell’ANPI di schierarsi per il no e di impedire al suo interno prese di posizione diverse è semplicemente patetica: prima di tutto perché non si vede a che titolo lo faccia una associazione in cui di “partigiani”, per evidenti ragioni generazionali, non ce ne sono quasi più, in secondo luogo perché i partigiani, quelli veri, si batterono per un paese che riconquistasse la democrazia con la sua libera dialettica di opinioni.

Detto questo non è meno vero che la disinformazione sulla vera materia del contendere è vasta: pensiamo ad esempio alla tesi per cui grazie all’Italicum (che peraltro non è una legge costituzionale e che dunque sarebbe tranquillamente riformabile per via ordinaria) e alla riforma del senato qualsiasi nuovo vincitore potrebbe manomettere la carta costituzionale. Una ipotesi praticamente molto difficile da realizzarsi e ove le circostanze fossero favorevoli per tramutarla in realtà, significherebbe che comunque quelle formazioni avrebbero la forza di travolgere la nostra costituzione anche in caso di vigenza della attuale Carta.

Per tentare di arginare lo sviluppo di queste opposizioni Renzi ha scelto la via di lanciare una campagna capillare basata su comitati. Si vedrà se funziona o se a farla da padrona sarà l’informazione di massa, quella di giornali, televisione ed internet, perché in questo caso i rischi di un predominio dell’appello all’irrazionalità non sono piccoli.

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