Stupiti, increduli, e anche (un po’) preoccupati

Stupore, incredulità, delusione, preoccupazione. Sono diversi i sentimenti che agitano i trentini in Gran Bretagna. A sondarne gli animi radio Trentino inBlu, all'indomani del referendum che ha sancito la vittoria di chi voleva l'uscita dall'Unione europea.

Ruchira Verma Perini, infermiera, immigrata di ritorno, lavora in un hospice a sud di Londra. “Qui il clima è di stupore. Nessuno si aspettava questo risultato, neppure chi ha votato ‘Leave’, che non è razzista ma teme l’ingresso nella Ue della Turchia e di altri Paesi attratti dal nostro welfare state generoso”. Come è stato il risveglio dopo il voto? All’insegna della preoccupazione, afferma Ruchira ai nostri microfoni. “Nigel Farage (leader di Ukip, partito indipendentista, ndr) teneva il suo Victory speech alla nazione e parlava di ‘Independence Day’. Ma al lavoro la maggior parte dei colleghi sorrideva e mi diceva che il cambiamento fa paura a tutti, ma è necessario per riavere indietro il nostro Paese”. Quando ha chiesto ad una giovane collega perché ha votato Leave, si è sentita rispondere: “Perché mi ha detto mia mamma di farlo!”. Quanto al suo lavoro, Ruchira si dice tranquilla: “Rispetto all’Italia, qui c’è lavoro per tutti e prima del Brexit i grandi ospedali cercavano proprio gli infermieri italiani, considerati tra i più preparati, facendo i colloqui direttamente a Milano o a Roma o addirittura via Skype!”. Per lei che ha lasciato l’Italia per via della crisi economica e qui aveva trovato la serenità lavorativa e l’aiuto economico dello Stato ora c’è preoccupazione per il futuro. “L’ideale di un’Europa ‘unita’ è stato frantumato e mi dispiace parecchio, io ci credevo tanto”.

Dal multietnico quartiere di Brixton, nella Grande Londra, dove vive da 14 anni insieme a Eleni, greca di Atene, arriva la voce di Luca Zampedri. Perginese, è in Gran Bretagna dal 1998. E’ infermiere pure lui come Ruchira. “Qui a Brixton la percentuale del ‘Remain’ è stata del 78,6%, la più alta della capitale. Ma fuori Londra abbiamo però osservato una realtà diversa, le strade delle cittadine sulla costa e di località in declino erano tappezzate da cartelli pro ‘Leave’. L’esito non poteva essere che incerto”. La mattina del 24 giugno è stata diversa dalle altre: “Ci siamo alzati sentendoci un po’ più stranieri nella nazione che ci ha adottato e che molti di noi chiamano casa”, dice Luca. Predomina l’incredulità, c’è voglia di risvegliarsi “da un sogno dove l’Inghilterra e uscita dagli Europei, ma la Gran Bretagna rimane in Europa”. Scuola, sanità e pensioni sono in cima alla lista delle preoccupazioni. Ci si chiede cosa accadrà ora. “Le incertezze per il futuro si amplificano per amici e colleghi che qui hanno creato o trasferito la famiglia, ma non solo. Anna, padre italiano ma passaporto francese, prenderà la cittadinanza. Iwona e Mariola, da poco diventate britanniche, pensano ai genitori e agli amici rimasti in Polonia. Avranno bisogno di un visto per venirle a trovare? In chi sente di aver contribuito al bene della nazione c’è un senso di amarezza per un ‘Leave!’ inteso come ‘andatevene!’”. Ma a dispetto di chi soffia sull’odio, britannici e immigrati “hanno voglia di ricreare un’integrazione momentaneamente perduta”, assicura Luca.

La delusione è anche nella voce di Giuliana Cristellotti, che in Inghilterra è da oltre 30 anni. Il marito è inglese, i due figli hanno la doppia nazionalità. “I più colpiti e disorientati – afferma – sono i giovani, che si sentono traditi dai vecchi. Anche se un sondaggio dice però che nella fascia 18-34 anni hanno votato in pochi”. La Gran Bretagna appare divisa a metà. “C’è un clima di incertezza perché non si conoscono le ripercussioni sull'economia reale”. Si teme un effetto domino, vista l'ondata di movimenti anti-Ue in altri Paesi. Giuliana condivide: “Cresce l'amarezza nel vedere naufragare il sogno europeo originario: un'Europa unita, sociale, non fatta solo di banche e di burocrati”.

Parlano di “shock” Luca Biasiolli e Cristina Locatelli, dopo anni da pendolari tra Londra e Oxford, dalla nascita della figlia Agatha (“è cittadina britannica”) sono stabili a Oxford. Ricercatore all'ospedale John Radcliffe lui, ricercatrice nel campo delle Digital Humanities (all'Università di Exeter in collaborazione con la Tate Modern, il museo d'arte moderna più visitato al mondo), lei. Come ricercatori, la preoccupazione condivisa dai loro colleghi è che la qualità della Ricerca in Gran Bretagna risenta della mancanza di collaborazioni e finanziamenti europei. “La notizia della vittoria del ‘Leave’ ha causato una reazione esagerata da entrambe le parti”, affermano. “I Brexiteers non se l’aspettavano di vincere e molti di loro hanno votato ‘Leave’ solo come protesta contro il governo e l’establishment. Ma la conseguenza più immediata e triste è ora un ritorno in superficie del sentimento nazionalista e xenofobo e quindi una forte tensione sociale”. È un momento di grande incertezza, confermano, e la situazione politica è più polarizzata che mai. “La campagna referendaria ha strumentalizzato la paura dell’immigrazione, raccontando un sacco di menzogne e istigando l’odio, armando così la mano dello squilibrato che ha assassinato la parlamentare laburista Jo Cox”, dicono con decisione. “La speranza – concludono Luca e Cristina – è che questo sia solo un momento di transizione e che l’instabilità dovuta all’incertezza politica si risolva prima di incrinare irrimediabilmente il tessuto sociale ed economico. La realtà è molto diversa dai facili slogan della campagna referendaria e, sempre che venga avviato il processo di uscita dalla UE (il referendum è solamente consultivo e sarà il parlamento a decidere), ci vorranno anni di costose negoziazioni per poi cambiare di poco lo status quo”.

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