Verso la fabbrica 4.0

Le prospettive del settore manifatturiero in Trentino, che è debole nei settori produttivi ad alta intensità tecnologica; invece, come dice il ministro Calenda, si tratta di riuscire a fare “cose nuove” anche in “modi nuovi”

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Il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, in un recente intervento a Montecitorio ha schematizzato così le quattro rivoluzioni industriali: con la prima le macchine moltiplicano la forza; con la seconda l’energia elettrica moltiplica la scala dei mercati; con la terza l’informatica moltiplica la velocità; la quarta («Industria 4.0») porterà a una produzione totalmente automatizzata e interconnessa, anche nei confronti del consumatore.

In questo modo Calenda risponde anche ai dubbi, che aleggiano spesso anche in Trentino, sul destino della manifattura, assediata dalla crisi e dai Paesi emergenti. La quarta rivoluzione industriale trasformerà i più svariati tipi di attività e i confini fra manifattura, servizi e settori si faranno sempre più rarefatti in un processo di cosiddetta «servitizzazione» del manifatturiero.

Nemmeno le altre istituzioni economiche sembrano nutrire dubbi sul ruolo di un sistema produttivo «avanzato», in grado di migliorare la produttività e ridurre l’inquinamento. La Commissione europea, in una nota del 2014 dal titolo inequivocabile (“L’avanzamento del settore manifatturiero prepara la strada per il futuro dell’industria in Europa”), evidenzia che la manifattura europea impiega direttamente 30 milioni di persone e il doppio per via indiretta; i prodotti industriali ammontano a oltre l'80% delle esportazioni totali dell'UE e dal settore manifatturiero proviene l’80% della spesa privata in ricerca e sviluppo (in gergo il termine industria ricomprende anche l’artigianato).

In Trentino il manifatturiero (3.300 imprese per 30 mila addetti) è più contenuto: all’ultimo censimento gli addetti rappresentavano il 18,5% del totale degli occupati, contro – ad esempio – il 32,5% del Veneto. La limitata incidenza della manifattura non è certo vista dal Programma di sviluppo provinciale come un vantaggio, ma anzi come uno dei nostri punti di debolezza, aggravato dalla “scarsa incidenza degli occupati nei settori produttivi a più elevata intensità tecnologica e nei servizi ad alto contenuto di conoscenza”.

Non c’è dunque un futuro senza manifattura, purché non sia quella «povera», in cui la competizione è sul costo del lavoro, ma quella che genera valore, grazie all’intensità di conoscenza e, in genere, alla propensione innovativa. La politica economica può favorirla con vari strumenti (formazione, poli tematici, marketing, accompagnamento, domanda pubblica, incentivi) perché la digitalizzazione “promuove una manifattura … a «misura di cliente», in grado di coniugare produzione in larga scala con capacità di risposta ai bisogni di nicchia, abilità tipica che caratterizza da sempre la nostra tradizione nel saper fare manifatturiero”, come dice ancora il Ministro Calenda. La via italiana alla «Fabbrica 4.0» non è quindi riservata ai grandi gruppi; infatti, sottolinea il Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli “le micro e piccole imprese italiane che utilizzano tecnologie digitali sono 183 mila con 627 mila addetti. Aziende che già da tempo ibridano valori artigiani e innovazione con risultati eccellenti in settori chiave del made in Italy”.

Attenzione, però, ammonisce Calenda: non si tratta semplicemente di fare «cose vecchie» in modo innovativo; si tratta di fare «cose nuove» in «modi nuovi». Soltanto così, con un duplice sforzo, pubblico e privato, la quarta rivoluzione industriale potrà segnare per il nostro manifatturiero l’inizio di una nuova giovinezza.

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