Giovane Africa

La ricognizione nei campi profughi nel nord dell’Etiopia per ribadire la vicinanza della Chiesa di Trento

“A breve 500 profughi eritrei riparati in Etiopia potranno raggiungere l’Italia grazie ai corridoi umanitari, sul modello di quanto realizzato con successo con alcuni gruppi di profughi siriani, evitando così pericolose traversate del deserto, prima, e del Mediterraneo, poi. Un accordo in tal senso è stato siglato proprio in questi giorni”. E’ visibilmente soddisfatto l’arcivescovo emerito di Trento, Luigi Bressan, nel confermare la bella notizia ricevuta nel corso del suo recente viaggio in Etiopia, dove si è recato, accompagnato dal direttore del Centro missionario di Trento, don Giuseppe Caldera, per constatare lo stato di avanzamento dei lavori della cattedrale di Meki, finanziati anche dalle Diocesi di Trento e di Bolzano-Bressanone (ne abbiamo parlato sullo scorso numero di Vita Trentina, ndr), ma anche per visitare i campi profughi che accolgono uomini, donne, giovani e bambini eritrei in fuga da un regime soffocante.

La felice intuizione dei corridoi umanitari, portata avanti con convinzione da Comunità di Sant’Egidio, Tavola valdese e Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, ha trovato il sostegno del Ministero degli Esteri – il ministro Gentiloni vi ha fatto cenno anche in occasione della sua presenza a Trento, il 5 settembre, per la Giornata dell’Autonomia. Ma la sfida dell’accoglienza è stata raccolta da diverse realtà ecclesiali (parrocchie, istituti religiosi maschili e femminili), ma anche da singole famiglie, per rispondere concretamente all’appello lanciato da papa Francesco un anno fa e dando così risposta ai bisogni di 30 mila migranti, calcola la Fondazione Migrantes: oltre alle parrocchie, circa 60 istituti religiosi femminili e maschili coinvolti. L’Arcidiocesi di Trento ha messo a disposizione alcuni appartamenti a Villa San Nicolò, che dalla fine di febbraio ospitano una trentina di profughi.

Tornando ai profughi eritrei, per ora, precisa Bressan, è prematuro dire quando arriveranno e dove saranno accolti. E’ probabile che saranno distribuiti sul territorio nazionale, come accaduto per i siriani. Ma la gioia per una prospettiva positiva che si apre per alcuni, è subito offuscata dal ricordo di quanto visto nel recente viaggio. Il pensiero va in particolare alle centinaia di minori non accompagnati incontrati nel campo di accoglienza di Ndabaguna, nei pressi della città di Shire, nella regione del Tigray, vicino al confine con l’Eritrea. Lasciata ad Addis Abeba la delegazione delle diocesi di Trento e di Bolzano-Bressanone con il vescovo Ivo Muser, il direttore del Centro missionario di Bolzano, Wolfgang Penn, e della Caritas di Bolzano-Bressanone, Paolo Valente, il vescovo emerito Bressan e don Caldera vi si sono recati accompagnati dalla dottoressa di origine eritrea Alganesh Fessaha, rifugiata politica in Italia, fondatrice dell’organizzazione non governativa Gandhi. “Il campo, gestito direttamente dal governo di Addis Abeba, ospita 400 minori non accompagnati”, spiega Bressan. “Bambini e ragazzi dai 6 ai 16 anni, spesso spinti dalle loro stesse famiglie ad attraversare il confine fuggendo in Etiopia, in cerca di migliori opportunità”. Opportunità che nel loro Paese non hanno, oppressi dalla miseria e costretti come sono ad una leva militare che si prolunga per vent’anni. “Bisogna riconoscere che l’Etiopia si mostra generosa nell’accogliere questi giovani”, osserva Bressan. “Il sentimento prevalente in loro è la paura di dover tornare in Eritrea. E poi la nostalgia di casa, fortissima”. Questi minori restano nel campo da uno a tre mesi, poi sono smistati in uno dei quattro grandi campi profughi esistenti in Etiopia. “Sempre accompagnati dalla dottoressa Alganesh, abbiamo visitato quello di May Ayni, che accoglie 12 mila persone di tutte le età. Ci sono intere famiglie, moltissimi bambini, molti dei quali nati qui. I minori accompagnati sono 1.200. Ricevono il cibo dall’Onu e assistenza da organizzazioni non governative, come l’associazione Gandhi, che al campo ha una sua sede, uffici, sala riunioni, ed opera attraverso i suoi operatori e volontari”. A May Ayni ci sono anche i 150 eritrei liberati nel 2012 dalle prigioni egiziane grazie all’intervento della Diocesi di Trento e del Centro missionario, che pagarono loro il viaggio aereo fino in Etiopia. La Diocesi attraverso il progetto del Centro missionario “Un pasto al giorno per ogni bambino” assicura il pasto giornaliero a oltre 700 bambini del campo, adottati a distanza grazie alla collaborazione con l’associazione Gandhi. E ha finanziato la realizzazione del locale che funge da chiesa, dove mons. Bressan ha celebrato la santa messa, accompagnata dai cori e dalla musica dei tamburi.

La visita non ha consentito solo di prendere visione di quanto fin qui realizzato, ma ha permesso anche di individuare nuovi bisogni, ai quali si cercherà di dare risposta. Bressan ne indica alcuni. C’è il desiderio di realizzare una scuola di formazione professionale, per dare un’opportunità e una speranza ai giovani, e in questo senso sono promettenti i contatti con fratel Fabio Lucian, economo e direttore del Don Bosco Technical College di Adua. E poi la richiesta di avere delle Bibbie in lingua tigrina. La Diocesi di Trento, assicura Bressan, continuerà a fare la sua parte: “L’abbiamo detto al segretario della Conferenza episcopale etiope: la Chiesa di Trento non si dimenticherà di loro”.

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