Primo: vivere da comunità fraterne

somm: “Noi abbiamo spostato il Dio della fede altrove, lo abbiamo relegato nella sacralità delle aule liturgiche, lo abbiamo chiuso tra le righe, lo abbiamo ingabbiato dentro un effluvio di parole”

SOMM2: “Non servono fredde alchimie organizzative, strumentazioni sofisticate, teorie astratte. La pastorale ha bisogno di chi, giorno e notte, cerca i poveri, i vinti dalla vita e tra loro costruisce la propria dimora”

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“Dobbiamo ammettere che la vita delle nostre comunità fatica a generare autentici legami fraterni. Il richiamo all’antica fraternità apostolica si risolve spesso in una narrazione retorica. Le nostre comunità, più che case della fraternità, sono spazi dove l’esperienza religiosa è pensata al singolare, praticata in forma individuale”.

Con la sua lucida schiettezza, l'Arcivescovo Tisi alla sua prima assemblea pastorale ha aperto così l' atteso intervento con la lettura della situazione, suggerita nell'introduzione da Piergiorgio Franceschini, delegato per le comunicazioni sociali, per una Chiesa che sappia essere “smart”. Ma prima di ”elaborare strategie” mons. Tisi anticipa che bisogna “ripartire dagli inizi” (citazione di Ratzinger, vedi sotto), dall'Eucaristia che “fa la Chiesa” e ci vuole comunità fraterna di sorelle e fratelli, non “figli unici”. “Non ci sono alternative alla fraternità per annunciare il Vangelo – ha scandito l’Arcivescovo, ricavandone conseguenze dirette, esigenti: “Una comunità fraterna evangelizza con il suo modo di essere e di vivere. Parlare di Chiesa sinodale non vuol dire far riferimento a tattiche organizzative per portare avanti insieme le cose, è molto di più. E’ percepire che tu esisti con e per l’altro, non puoi fare a meno degli altri, il “camminare con” è un’esigenza esistenziale, è costitutivo dell’umano.

La fraternità non si risolve nell’impegno di cuori e menti generose che si accordano tra loro per studiare strategie di annuncio, organizzare la carità, pianificare  liturgie e riti dentro le quali si pretende di ingabbiare il Mistero. Essa è invece il dono del Risorto, nasce nella Pasqua, da duemila anni abita la terra e produce senza sosta i suoi frutti”.

La prima sfida pastorale è precisa: “allenarsi alla vita fraterna”, “trasformare le comunità da costellazioni di singoli a spazi di fraternità vissuta”. La relazione di mons. Lauro – disponibile integralmente nel sito www.diocesitn.it – invita però a riconoscere la presenza di Dio, “che è già fra noi” e ci aiuta a diventare “ fraternità profetica, segno di speranza e di fiducia”. Ecco le conseguenze più pressanti: recuperare l’attitudine allo stupore (“, che esce dal cuore pulsante delle persone, non da uno schermo freddo” ed è “premessa all’incontro con lo Stupore del Padre”), tornare a frequentare il quotidiano, sull’esempio di Maria che “frequenta strade, campi, lago, case dove si banchetta e si piange”. E infine la raccomandazione data ai neovescovi dal Papa: “Fate diventare pastorale la misericordia”. La pastorale, secondo Francesco, ha bisogno di uomini e donne “destabilizzati” da Gesù di Nazareth, consapevoli della propria fragilità; che non umiliano con implacabili giudizi, ma applicano la tenerezza della madre, irriducibile nel dare fiducia ai figli”.

Tisi ricordava che questa pastorale “è alla portata di tutti” (quanti operatori pastorali sconosciuti, senza riconoscimenti e diplomi ci precederanno alla fine della vita!”) e invitava a fare dei Consigli pastorali di prossimo rinnovo il luogo in cui cercare insieme le soluzioni (“ed io insieme a voi”) partendo dal compito iniziale: far diventare fraterne le nostre comunità”.

In apertura di assemblea, la relazione del prof. Matteo Truffelli, presidente di Azione Cattolica, aveva sviluppato l’immagine dei “credenti inquieti”, cioè mai appagati né soddisfatti, interrogati dalla Parola, né tiepidi né rassegnati davanti ad un tempo “favorevole” che non deve spaventare il cristiano. “Non ci si può imborghesire”, il richiamo di don Primo Mazzolari che lo storico emiliano rilanciava declinando i verbi-chiave della “Evangelìì gaudium”: esercitare il discernimento comunitario, combattere la tristezza indibidualistica per “riscoprirsi popolo”. Riprendendo i sei stimolanti interventi dell’assemblea, Truffelli precisava il suo appello ai laici cristiani: alla formazione, “che non è mai raggiunta per sempre” , ma deve essere continua perchè “se smetti di formarti rischi di deformarti”; alla spiritualità e alla centralità della Messa domenicale “perchè non dovremo mai staccare la spina”;, al pluralismo infraecclesiale “perchè non possiamo pretendere che il Vangelo sia vissuto da tutti allo stesso modo”, all’apertura ai giovani “perchè dobbiamo lasciarci evangelizzare da loro, che più di noi hanno la capacità di indignarsi”; alla profezia che non si traduce solo in dichiarazioni ma “in gesti quotidiani e silenziosi”, come ci insegna Papa Francesco. .

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