Se i pomodori parlassero…

Uno sguardo dentro una filiera agroalimentare sinonimo di sfruttamento. Se n’è parlato a Mori nella Settimana dell’accoglienza con Fabio Ciconte di Terra Onlus: “Il tema non è il caporalato, ma sconfiggere lo sfruttamento in agricoltura una volta per tutte”

Se i pomodori parlassero, ne sentiremmo delle belle. Racconterebbero storie di diritti negati, di sopraffazione, di sfruttamento. Ma i pomodori non parlano. Parlano, però, anzi, cantano chiaro i rapporti che periodicamente le associazioni Terra! Onlus, daSud e Terrelibere.org predispongono gettando uno sguardo indipendente sulle filiere del settore agroalimentare. Il prossimo rapporto, il terzo, sarà presentato tra poche settimane nell'ambito della campagna #FilieraSporca, promossa dalle tre realtà citate, con l’obiettivo di ricostruire il percorso dei prodotti agroalimentari dal campo allo scaffale del supermercato. Ne ha parlato martedì sera al Teatro Oratorio di Mori Fabio Ciconte, direttore di Terra! Onlus e portavoce della campagna #FilieraSporca.

Ciconte, invitato dal Comune di Mori e dalla cooperativa del commercio equo e solidale Mandacarù insieme ad altre vivaci realtà associative del territorio, è stato introdotto dall’assessore comunale alle politiche di aiuto sociale, Roberto Calliari, e da Federica Eccher del cda di Mandacarù, che hanno motivato l’interesse a occuparsi del “lato oscuro dei pomodori italiani” all’interno di un percorso culturale incentrato sulle migrazioni. E la proiezione di alcuni brevi filmati “firmati” da Stefano Liberti e Mathilde Auvillain, già presentati al festival “di cinema e cibo” Tuttinellostessopiatto, ha contribuito a chiarire ulteriormente il rapporto tra produzione agroalimentare, squilibri ambientali e lesione dei diritti umani in generale, e dei migranti in particolare. Lo si è poi ancora meglio compreso ripercorrendo con Ciconte il percorso dei pomodori – prodotto simbolo dell'agroalimentare italiano – dal campo al supermercato. Le sorprese non mancano: intermediari che accumulano ricchezza, caporali che organizzano le raccolte sfruttando i migranti e negando loro un’accoglienza dignitosa, piccoli produttori impoveriti perché a fissare il prezzo è la grande distribuzione. E' un quadro sconfortante quello descritto da Ciconte. “E’ un mercato dai fatturati enormi, parliamo di miliardi di euro, in cui l’Italia è leader nel mondo, e che muove enormi interessi”, ma che appare ancora denso di zone grigie, quando non di vere e proprie ombre. Come il caporalato. La recente approvazione al Senato di un disegno di legge in materia è un segnale importante, che però non deve far abbassare la guardia. “Occorre rafforzare il tema della responsabilità in solido delle aziende – osservava Ciconte -, perché fino ad ora alle aziende di tutto il dibattito sul caporalato (che ha portato all’approvazione della nuova legge e nel quale un ruolo importante ha avuto la campagna #FilieraSporca, ndr) non importava nulla. Il tema non è raccontare il caporalato: il tema vero è sconfiggere una volta per tutte lo sfruttamento del lavoro in agricoltura”.

E’ una battaglia che si può vincere? I promotori della campagna #FilieraSporca sono convinti di sì. Come? Attraverso la trasparenza delle filiere agroalimentari, dalla grande distribuzione organizzata alle multinazionali, l’introduzione di una “etichetta narrante” (che faccia “parlare” i prodotti) e un elenco pubblico dei fornitori. “Penso che questa battaglia possiamo vincerla”, ha concluso Ciconte. “Cominciamo a dire alla grande distribuzione che vendere una passata al supermercato a 20 centesimi non va bene, perché distruggi tutto il mercato del pomodoro”. Qui giochiamo un ruolo anche noi consumatori. “Se compriamo la passata a venti centesimi, il mercato lo portiamo lì. Se invece la compriamo a un prezzo dignitoso, spingiamo il mercato in quest’altra direzione. Ecco perché come campagna #FilieraSporca chiediamo che venga fatta un’etichetta narrante, che ci permetta di sapere quello che mangiamo”.

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