Ungheria, Orban scivola sul referendum

Il referendum contro l’accoglienza dei migranti ha riservato una sgradita sorpresa al premier ungherese Viktor Orban, che l’aveva fortemente voluto: domenica 2 ottobre si è recato ai seggi il 43% degli elettori (poco più di 3 milioni su 8 milioni di aventi diritto), mentre il quorum richiesto era la maggioranza assoluta. Referendum invalidato, ma oltre il 90% ha votato “no” e su questo aspetto fa ora leva Orban per ribadire che i magiari non vogliono stranieri per casa e che l’Ue non può imporre alcunché a Budapest. Nel giorno in cui si votava in Ungheria, arrivava dalla Colombia il “no”, sempre per via referendaria, all’atteso piano di pace governo-Farc: a conferma che i governi spesso procedono da una parte e gli elettori dall’altra.

Sul piano interno, Orban ritiene comunque rafforzata la sua linea eurocontraria e nazionalista. Le opposizioni, che avevano sostenuto la diserzione delle urne, si sentono però galvanizzate e chiedono le dimissioni del governo, così come la destra ultranazionalista di Jobbik. Di certo Orban non lascerà il suo posto: ha buon gioco ad affermare che la gran parte degli ungheresi “la pensa come il governo”: ovvero che i migranti sarebbero un costo per le tasche dei cittadini e porterebbero con loro avamposti del terrorismo e religioni “estranee” al Paese. Dunque restino a casa loro. La “soluzione” alternativa, secondo Orban, è che i migranti stiano in Italia e Grecia: la “solidarietà”, storico pilastro della casa comune europea, può attendere. Dei 160 mila rifugiati giunti nei Paesi mediterranei da ricollocare nell’Unione europea, ne sono partiti circa 5 mila; la Commissione Europea ne avrebbe voluti assegnare 1.294 all’Ungheria, ma Budapest ha sbarrato le porte.

Resta il fatto che, referendum o meno, la questione dell’accoglienza dei migranti non può essere ignorata. Va affrontata in tutta la sua gravità e nelle pieghe della sua concretezza. I muri, è dimostrato, non frenano i popoli in movimento. Si tratta semmai di cercare risposte condivise su scala europea, senza venir meno al dovere di salvaguardare diritti e sicurezza dei cittadini Ue.

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