L’“Atlante delle guerre” parla di pace

La presentazione a Trento la scorsa settimana al “Café de la Paix” per iniziative di Emergency

E’ più “asciutto” degli scorsi anni e anche il “taglio” è diverso. Meno pagine, ma anche, ed è una novità, il racconto, affidato agli studenti dell’università di Firenze, di ciò che si tenta di fare per favorire la pace in tanti Paesi e aree del mondo in guerra piuttosto che una puntuale ricostruzione dei conflitti scheda per scheda, come finora era stato invece proposto.

E’ appena stata pubblicata la settima edizione dell’”Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo” (20 euro) diretto dal giornalista Rai Raffaele Crocco e curato dall’associazione “46° Parallelo” in collaborazione con Amnesty International e il Centro di documentazione sui conflitti ambientali.

Non solo, una “tasca” finale contiene 15 carte infografiche che forniscono numeri su numeri, ad esempio sui conflitti ambientali e sul land grabbing come sul commercio d’armi, sui beni artistici distrutti dall’Isis oppure sulle missioni Onu.

Tutte cifre, fondamentali per inquadrare determinati fenomeni, che vantano fonti autorevoli e ben difficilmente confutabili, dall’Onu al Centro di documentazione conflitti ambientali, dalla Banca mondiale a Oxfam.

L’”Atlante” è stato presentato la scorsa settimana a Trento, al “Café de la Paix” nel corso di una serata organizzata da Emergency. Attualmente, nel mondo sono in corso 36 guerre, una ogni cinque Paesi. E ormai si combatte, soprattutto, nei grandi centri abitati (Aleppo, Tripoli, Sarajevo negli anni Novanta). Le vittime, per il 90%, sono civili, e non potrebbe essere diversamente visto che il 60% dell’umanità vive ormai in città. “Le ragioni sono sempre economiche – ha detto Raffaele Crocco nel corso della presentazione – E riguardano il controllo delle risorse. Fateci caso, la guerra arriva sempre dove c’è una cattiva gestione delle risorse, mancanza di rispetto dei diritti e scarsa redistribuzione della ricchezza. La guerra è l’effetto di queste situazioni. Quindi, non è inevitabile, come qualcuno dice. Abbiamo dati e conoscenze tali per poter dire che la responsabilità è sempre politica”. D’altronde, tanto per fare un esempio, se per ogni chilo di coltan estratto in Africa (il prezioso minerale componente essenziale dei nostri cellulari), al lavoratore va 1 dollaro (se minore 50 centesimi) mentre le multinazionali che lo vendono ci ricavano 600 dollari, il solo parlare di redistribuzione suona parecchio azzardato, per usare un eufemismo.

In giro per il mondo sono stati eretti 18 muri anti-immigrati di cui 15 negli ultimi dieci anni. Eppure, non foss’altro che per convenienza, basterebbe ricordare alcuni numeri, nella sola Italia, dove gli stranieri sono l’8,5% del totale della popolazione. Ebbene, lo scorso anno questi immigrati hanno generato 127 miliardi del nostro Pil (prodotto interno lordo), l’equivalente di quello della Fiat (ex) che però paga le tasse all’estero; hanno versato 10 miliardi di contributi Inps consentendo a 460mila italiani di prendere la pensione. E sono stati 9 i miliardi che l’erario ha incassato di Irpef dagli stranieri-italiani.

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