Braccio di ferro con l’Europa?

La domanda che ci si deve porre è se e quanto convenga tentare un braccio di ferro con l’Europa. È la strada che Renzi sembra voler imboccare, si dice per inseguire un po’ di populismo che gli potrebbe far gioco nella battaglia referendaria, ma la questione è un bel po’ più complicata.

Certamente è fuori dubbio che in questo momento il populismo la faccia da padrone un po’ in tutti i settori della politica italiana. È una deriva molto pericolosa, ma ben pochi fra i politici sembrano rendersene conto. In un contesto molto superficiale e provinciale come quello di cui stiamo parlando la vittoria di Trump alle elezioni americane è stata semplicisticamente interpretata come una prova che vince chi le spara più grosse. Naturalmente, se solo ci si pensasse su un attimo, non è esattamente così: pur con tutti i suoi limiti, in termini di voti popolari la Clinton ne ha avuti più di Trump, che ha vinto solo perché quel sistema non conta i voti raccolti a livello nazionale, ma le maggioranze che consentono di conquistare nei vari stati i voti dei grandi elettori.

In Italia, fino a prova contraria, il referendum si vincerà o perderà dalla somma dei voti nazionali, dunque se si dovesse tenere come parallelo l’America avrebbe vinto la Clinton. Ovviamente è un ragionamento senza senso, lo si fa solo per dire che non è scontato che vinca il populismo della propaganda: è più probabile che siano determinanti certi sentimenti tradizionali, quali la paura dell’innovazione, la sfiducia nella classe politica, l’identificazione con slogan banali, ma che sono diventati atteggiamenti condivisi (difendere la costituzione più bella del mondo), oppure il loro contrario.

Scegliere di lisciare il pelo al populismo non porterà fortuna ai neofiti di questa tecnica, siano gli uomini di governo e di partito del PD, sia il vecchio Berlusconi che rottama un sostituto leader dietro l’altro (adesso lo fa con Parisi). Finiranno per lavorare a favore dei populisti professionali, cioè di Grillo e di Salvini.

L’impressione è che la decisione di Renzi di andare al braccio di ferro con la UE risponda a quella logica, visto che l’ha fatta circondandola di inutili spacconate (togliere dal suo ufficio la bandiera europea; dichiarare che lui non finanzia chi costruisce muri, ecc.). Intendiamoci: il contenzioso di Renzi con le burocrazie di Bruxelles troppo succubi dell’egemonia di certi ambienti tedeschi e nordeuropei è ben fondato e condivisibile. Juncker si sta rivelando sempre più un presidente della commissione debole e poco capace di leadership: le sue ultime intemerate contro Trump sono piuttosto patetiche, mentre non riesce a dire una parola che abbia una vera eco fra i popoli dell’Unione. Tuttavia bisogna chiedersi se all’Italia convenga in questo momento il braccio di ferro.

Crediamo che la risposta non possa essere positiva. In primo luogo il nostro paese ha una situazione economica piuttosto fragile e può facilmente essere vittima di ritorsioni della finanza internazionale. Con la situazione in cui si trova il nostro sistema bancario non è una prospettiva allettante. In secondo luogo Renzi non è in questo momento un leader saldamente in sella. È vero che i suoi avversari non godono di alcun prestigio nel contesto internazionale, ma lui ne ha perso molto proprio per le difficoltà che sta avendo nel gestire sia il passaggio referendario sia il governo del suo partito che è quello di maggioranza relativa.

Certamente sul piano puramente formale la minaccia di porre il veto sul bilancio comunitario è molto efficace: senza l’unanimità il bilancio non passa e su certi punti può avere persino un qualche consenso da parte del parlamento europeo. Ma in sede di Consiglio, cioè nell’organo formato dai capi di stato che in questo momento è la sede forte del potere, muoversi da soli e con la coda di paglia di farlo per ottenere di far deficit non è che sia una bella carta da visita. Magari si otterrà qualcosina, ma con la remora di dover pagare un conto salato alla prima occasione utile, il che non è un buon viatico per un paese con le nostre debolezze e difficoltà.

Ormai c’è solo da sperare che arrivi in fretta il 5 dicembre, che si abbia un esito chiaro del voto, e che soprattutto si possa chiudere un capitolo non bello della nostra storia. Sperando che non ci dobbiamo pentire per avere avuto una classe politica ed intellettuale così scarsamente capace di ragionamento da non capire che una rissa a bordo del battello che naviga in acque agitate serve solo a farlo ribaltare.

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