A volte ritorna

La tradizione si era spenta una cinquantina di anni fa

Gresta di Segonzano, 10 dicembre – Un medico dentista ha “rianimato” l’antica sagra della Madonna di Loreto, popolarmente detta “la Madona dala congiàl”, per l’abito tutto legato da nastri che lo fanno assomigliare appunto a una bigoncia rovesciata. “La tradizione si è spenta una cinquantina di anni fa quando molte persone di Gresta se ne sono dovute andare per cercare lavoro altrove. Sono, siamo rimasti in pochi. Appena una trentina di persone. Così mi sono detto: è il caso di provare a rifare la sagra. Ho chiesto aiuto a un gruppo di amici, al coro Piramidi di Segonzano soprattutto, e mi pare sia riuscita”. Il dott. Danilo Nadalini, nato a Segonzano nel 1955, “emigrato” a Trento che aveva appena sei mesi, è tornato a Gresta qualche anno fa. Si è innamorato del villaggio sul fondovalle dell’Avisio, ha acquistato alcune abitazioni fatiscenti, vari pezzi di terra e di bosco ed ha trasformato Gresta nel suo “buen retiro”.

Il professionista trentino ha rifatto i muri a secco, potato i castagni, recuperato l’antico con gusto e gran dispendio di mezzi. Ma il denaro non compra la tradizione, anche se a volte aiuta a ritrovare la strada perduta. Così si è rivolto alle associazioni di volontariato che a Segonzano sono la perla della comunità: dal coro ai pompieri, dalla “Stella bianca” agli alpini in congedo, dagli amici del santuario a quelli del bosco.

Ma è stato soprattutto Sergio Menegatti (“Baffo”), l’infaticabile tuttofare del paese, a sposare l’idea di un recupero della tradizione. “Tanti pensano solo al proprio orticello, dice, e invece è giusto che ci diamo tutti una mano per togliere la polvere da sotto il tappeto e offrire anche ai giovani un bagno nella storia e nel vissuto dei nostri nonni”.

Cominciando dalla sagra, come no?

Renzo Giacomozzi ricorda che l’ultima volta che si fece “campanò” per la sagra della Madonna di dicembre fu nel 1969. Ma un solo giorno, dei tre prescritti, perché nella notte morì d’infarto il Davìde Giacomozzi. L’anno dopo morì il Benedetto Giacomozzi, papà di Renzo, Adriano, Enrico e Marcello. Teneva un’osteria e pure un negozio di generi alimentari. Quel funerale seppellì anche la sagra.

Cambiava il mondo, i giovani andavano via, la comunità si sfarinò.

Osteria e negozio a Gresta chiusero il 31 dicembre 1985 quando entrò in vigore la legge che imponeva i registratori di cassa. “Troppa burocrazia, scarso giro d’affari” commentano i figli del Benedetto.

A Gresta c’era la scuola. Nel 1955 fra Gresta e Gaggio c’erano 40 alunni. L’ultimo anno della pluriclasse (1969/70) fu frequentato da 15 scolari.

Non era stato sempre così. Una fotografia, colta il 10 dicembre 1913, ultimo anno di pace, rappresenta la maggior parte dei 242 abitanti del villaggio. I ragazzi di dieci anni avevano in testa un cappello che copriva le orecchie.

Sergio Giacomozzi, 81 anni, già insegnante qui e a Gardolo, ricorda che al tempo della cresima “el gudàz el regalava en capèl”. Perché servisse a lungo, era di una misura sproporzionata alla testa del figlioccio. Se il padrino era emigrato, mandava denaro.

La diaspora in valle dell’Adige (Salorno, soprattutto) e verso l’America si era consumata sul finire del XIX secolo. Da Gaggio, Gresta e Valcava i Giacomozzi, i Pedri, gli Zancanella erano partiti verso destinazioni ignote. I loro cognomi, sulle lapidi sghembe dei cimiteri di qua e di là dall’Oceano, testimoniano vite di fatica, spesso ghermite nel fiore degli anni.

Pur lontani, gli emigrati non mancarono di rivolgersi alla loro “Madona dala congiàl”. Lo testimoniano offerte ed ex voto.

La cappella della Madonna di Loreto risale al XVII secolo. La pala dell’altare di Gioacchino Antonio Mayr è del 1755. Nelle forme, pur fra rimaneggiamenti vari, compreso un ampliamento nel 1880, richiama la primitiva chiesa della Madonna dell’Aiuto. Ecco perché il celebrante, nel giorno della ritrovata sagra, il 10 dicembre 2016, ha tuonato dal pulpito che “questo è un santuario come quello dell’Aiuto”. Don Damiano Eccli, da Grumes, 89 anni compiuti il 26 novembre, passo svelto e voce robusta, dopo la messa partecipata da un’ottantina di devoti, è uscito sulla piazza di Gresta alta, ha benedetto gli uomini, gli animali e i recenti lavori di pavimentazione dell’abitato, compresa una “Gresta” di gallo disegnata con il porfido e formata con pietre portate dagli abitanti del villaggio “a ricordo degli emigrati di qui”. I cubetti di porfido hanno sostituito il “salesà”, il pavimento di ciottoli di fiume.

L’emorragia si è fermata. A Gresta ci sono già due nuove famiglie. Manuel Marcabruni, da Piedicastello di Trento si è trasferito due anni fa: “Me piaséva Gresta e me son sposà chi”.

La sagra serve anche a cementare nuove amicizie, ma soprattutto a ricreare identità. In tarda mattinata, sotto il tendone allestito a Gresta bassa, arriva un frammento di sole. Gresta alta, come numerosi villaggi incassati fra i monti, resta al “buio” per quaranta giorni. Un tempo, un raggio di sole entrava dalla finestrella della chiesa della Madonna di Loreto a mezzogiorno del 6 gennaio.

“Adess è aumentà el bosch e la data no l’ei pu valida” spiega Adriano Giacomozzi.

Almeno è tornata la sagra.

In attesa del sole, da qui a un mese.

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