Sì, viaggiare!

Il turismo, la più grande industria del pianeta (produce il 7% del fatturato complessivo mondiale, ci ricorda la relativa scheda delle “Guide” di Unimondo – www.unimondo.org) è come Giano bifronte: è incontro, scambio, opportunità, conoscenza, ma anche degrado dell’ambiente, impoverimento delle risorse naturali, sopraffazione e sfruttamento, impoverimento dei luoghi. Il turismo di massa – facilitato dall’aumento del tempo libero e del reddito pro-capite disponibile, oltre che dallo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni che permettono di raggiungere ogni angolo del pianeta in tempi brevi e a basso costo (si pensi al boom dei voli low-cost che ha costretto le compagnie di bandiera ad adeguarsi a questo modello e cambiato abitudini di viaggio e di vacanza) – ha portato benessere in alcuni territori, sradicando le popolazioni locali dalla miseria. Ma questo talvolta è avvenuto a spese dell’ambiente e generando sfruttamento.

Nella convinzione che il turismo ben progettato e ben gestito può contribuire allo sviluppo sostenibile, alla creazione di posti di lavoro e al commercio l'assemblea dell'Onu ha approvato l'adozione del 2017 come Anno Internazionale del Turismo Sostenibile. La risoluzione, adottata il 4 dicembre 2015, riconosce l'”importanza del turismo internazionale, e in particolare la designazione di un Anno internazionale del turismo sostenibile per lo sviluppo, nel promuovere il tema fra il maggior numero di persone possibile, nel diffondere consapevolezza del grande patrimonio delle varie civiltà e nel portare al riguardo un miglior apprezzamento di valori intrinsechi delle diverse culture, contribuendo così al rafforzamento della pace nel mondo”. Il turismo è incluso come target di tre degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile della nuova Agenda 2030 delle Nazioni Unite: l'Obiettivo 8 (“promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti”), il 12 (“garantire modelli di consumo e produzione sostenibili”) e il 14 (“salvaguardare gli oceani, i mari e le risorse marine”).

Negli ultimi anni si è affermato anche un nuovo modo di viaggiare: il turismo responsabile. Esso offre ai viaggiatori l'opportunità di contribuire ad uno sviluppo locale equo e sostenibile dei Paesi visitati, oltre che di comprendere i meccanismi di ingiustizia e negazione dei diritti umani che possono essere presenti. E rappresenta un’opportunità interessante per i Paesi più poveri. In sintesi, il turismo responsabile riconosce alle comunità locali il diritto di promuovere uno sviluppo turistico sostenibile e punta a favorire uno scambio positivo tra l'industria del viaggio, le popolazioni locali e i viaggiatori. Secondo la definizione adottata dall'Aitr – Associazione Italiana Turismo Responsabile, la maggiore organizzazione del settore in Italia -, il turismo responsabile “riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori”.

“Sì viaggiare / evitando le buche più dure”, cantava Lucio Battisti. Ma non bisogna pensare che turismo responsabile significhi necessariamente disagio, scomodità e fatica. E’ vero però che viaggi responsabili sono difficilmente di massa e spesso sono organizzati a livello individuale. Esistono anche agenzie specializzate, generalmente associate all’Aitr. Come le altre agenzie, offrono viaggi molto diversi, spesso per piccoli gruppi, verso Paesi del sud del mondo ma anche alla riscoperta di luoghi nascosti e di realtà meno conosciute d’Italia. Ma sia che si viaggi verso località remote sia che si cerchi il borgo dimenticato quello che importa è “con coraggio gentilmente, gentilmente / dolcemente viaggiare”, pensando a un selfie in meno e a uno “scatto” verso l’altro in più.

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