Il sistema SAIT fa i conti con la concorrenza

Con i piccoli negozi il beneficio sociale non è compensato da un ritorno economico: guadagna la collettività, perde l’azienda

Gli esuberi annunciati dal Sait hanno messo a nudo le difficoltà della cooperazione trentina di consumo. Tuttavia, sperando che il confronto in atto possa attenuarne l’impatto sociale, tre informazioni, poco note, aiutano a inquadrare meglio la situazione.

La prima riguarda la dispersione del sistema distributivo. Il Sait, la cui missione è servire le Famiglie cooperative, rifornisce 372 punti vendita. Soltanto 135 hanno una superficie superiore a 150 mq. (fra i quali 78 superano anche i 500 mq.). Fa riflettere che questi negozi medio-grandi generino da soli quasi l’80 per cento del fatturato Sait, mentre gli altri 237 ne producano poco più del 20 per cento. Ciò significa che nella distribuzione cooperativa ci sono 237 piccoli negozi, che svolgono un servizio di prossimità sicuramente utile per certe tipologie di bisogno e per la periferia, ma con poco smercio, e quindi magri affari.

Il beneficio sociale non è compensato da un ritorno economico: guadagna la collettività, perde l’azienda. Questa fetta del sistema andrebbe perciò considerata separatamente: servirla esalta il fine mutualistico ma non la produttività, e forse non è giusto liquidare tutto ciò come «inefficienza».

La seconda informazione riguarda la disomogeneità dei risultati: da sempre una parte delle Famiglie cooperative fa utili, l’altra perdite. Negli ultimi anni le prime sono all’incirca i due terzi; il totale degli utili ha sempre superato il totale delle perdite, ad eccezione del biennio 2014-15 su cui hanno pesato componenti straordinarie. L’efficienza del sistema è molto influenzata dai prezzi che il Sait riesce a praticare sulle forniture di merci, che rappresentano i tre quarti dei costi totali delle Famiglie cooperative. Di qui la volontà di contenere al massimo i costi di struttura del consorzio. Il fatto però che fino ad oggi, di norma, la maggior parte delle Famiglie cooperative sia riuscita a guadagnare significa che anche gli attuali costi di fornitura sono relativamente sostenibili. Quindi il problema dell’efficienza del sistema c’è, ma è forse meno devastante e più «curato» di quanto sembri.

Tanto più – terzo elemento – che da molti anni il Sait chiude i bilanci in utile, escluso il 2015 (per effetto della svalutazione degli immobili: un’operazione «pulizia») mentre i debiti sono in vistoso calo: con la tendenza in atto, già oggi i 104 milioni del 2010 dovrebbero risultare dimezzati. La serie storica dei risultati della cooperazione di consumo, nel suo insieme, denota una vera e propria «frattura» nel 2014, non tanto per colpa dei costi ma di un calo generalizzato dei fatturati, riconducibile a vari fattori, fra cui certamente le nuove aperture di punti vendita concorrenti, anche nelle vallate. Ne consegue che il Sait non è un colosso morente, né traumatizzato oltre misura dal grande investimento per la nuova sede all’Interporto; ma da un paio d’anni s’è fatto più urgente per il centenario consorzio trentino pianificare ogni possibile recupero di produttività, anche grazie a strategie propositive (non solo tagli, speriamo) capaci di rafforzare il posizionamento della distribuzione cooperativa, insidiata da una concorrenza sempre più aggressiva, a cui, anche desiderandolo, non si può chiudere la porta in faccia.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina