“Parola d’ordine? Sobrietà”

SOMMARIO «Probabilmente ho compiuto un azzardo, ma se assumo un incarico lo porto a termine». «Paghiamo il ruolo di ammortizzatore della crisi, ora dobbiamo razionalizzare a cominciare da credito e consumo».

Presidente Fezzi, partiamo della sua Termenago in Val di Sole: la prima immagine che le viene in mente?

A quei tempi (vi è nato nel 1953, n.d.r.) era ancora un paese vivo, le relazioni consolidate, gente laboriosa, con tanta immigrazione stagionale. Devo ringraziare la mia famiglia di piccoli contadini: eravamo sette fratelli con nessuna possibilità di occupazione sul territorio, i miei genitori hanno fatto studiare quasi tutti noi come tentativo di un riscatto, a fronte invece di risorse patrimoniali che non ci davano nessuna prospettiva. Mia madre era la più convinta: non aveva potuto studiare, quindi aveva il desiderio lo facessero i suoi figli. Oggi siamo quattro laureati.

Dall’esperienza nel mondo agricolo cosa si è portato in via Segantini?

Nell’ambiente dell’agricoltura i processi sono semplificati. Esso ha sempre avuto presente l’esigenza di lavorare assieme, cooperando, perché l’agricoltore da solo, almeno in alcune fasi, non è in grado di approcciarsi al mercato e quindi di valorizzare il proprio prodotto. Il 90% dell’agricoltura è in forma cooperativa, strumento di riscatto che consente ai piccoli agricoltori di essere sostanzialmente grandi.

Perché ha accettato un incarico così pesante da pensionato, in un’Italia che fatica ad andare in pensione?

Probabilmente ho compiuto un azzardo, ma come ho detto anche in assemblea se mi prendo un incarico lo porto a termine. Vorrei mettere a frutto le capacità maturate anche grazie al settore dell’agricoltura. Un atto di generosità forse eccessiva. Sono andato in pensione a fine 2015 e ho assunto un incarico alla Federazione allevatori in una situazione difficile, le condizioni di salute del presidente.

C’è un primo punto del programma sul quale è riuscito, come si suol dire, a “tirare una riga”?

I punti già avviati sono la costituzione di un comitato per l’elaborazione di modifiche allo statuto della cooperazione e per fornire messaggi alle cooperative in ordine al loro adeguamento. Sto parlando quindi di durata dei mandati degli amministratori, cumulo delle cariche… Come si potrebbe puntare a una classe dirigente che abbia una buona dose d’esperienza se non si produce ricambio?

Casuale la scelta del direttore generale, Alessandro Ceschi, solandro come lei?

Direi fortuita. La Federazione ha fatto la scelta di affidare la nomina del direttore a un’agenzia che fa questo di mestiere, per evitare che le relazioni già presenti intralciassero e influissero sulla decisione finale. Tra i candidati presentati su scala nazionale abbiamo avuto la fortuna di trovare lui.

Registrate grande sofferenza su credito e consumo, ambiti cruciali del nostro quotidiano: come mai la cooperazione, sempre indicata come antidoto alla crisi economica, qui non ha funzionato?

E’ stata certamente insidiata da una crisi senza precedenti, ma rispetto ad altre tipologie d’impresa, che nella crisi hanno avuto solo il compito di salvare il patrimonio dell’imprenditore e hanno portato a esuberi e licenziamenti, la cooperazione ha svolto un compito di ammortizzatore. E nel momento in cui il credito dei gruppi bancari è venuto meno si è messa a disposizione del sistema per dare una mano all’economia provinciale, scommettendo su una crisi breve. Ha messo a repentaglio le sue capacità perdendo grandi patrimoni, ad esempio legati all’edilizia. Poi la crisi è divenuta normalità e per questo non possiamo far altro che constare e registrare le debolezze, che da una parte hanno portato a forti svalutazioni nell’ambito del credito ma, dall’altra, evidenziano la necessità di razionalizzare l’organizzazione.

La riforma del credito rischia ormai di minare il “palazzo”, considerato il peso specifico del settore?

Il credito pesa più del 50% sul bilancio della cooperazione trentina. Da una parte la riduzione delle Casse Rurali per via delle fusioni e quindi una minore partecipazione finanziaria all’associazione, dall’altra la riforma del credito cooperativo che stiamo perseguendo aprono uno scenario nuovo che dovremo valutare per capire quali servizi la Federazione potrà continuare a offrire.

Ma il nuovo gruppo bancario con capofila Cassa Centrale resterà in qualche modo legato alla Federazione?

La Federazione avrà ruolo di rappresentanza, di sindacato, ma resterà sicuramente necessaria: se il gruppo bancario non dovesse riuscire a tenere un collegamento stretto col territorio rischierebbe di diventare una banca come le altre. La Cassa Rurale deve rimanere attenta ai bisogni del territorio, invogliare e tutelare micro-credito. L’alternativa era collegare le nostre casse rurali al gruppo romano di ICREA, moltiplicando i pericoli.

Altro nodo al pettine, la cooperazione di consumo. Come sta tentando di sanare le beghe interne?

Non è facile. Nel consorzio SAIT si sono allontanate società che hanno scelto altri fornitori, ora tale processo rischia di riprendere vigore perché altri soggetti hanno chiesto di uscire dal consorzio. Questo evidenzia da un lato un malessere di queste famiglie cooperative, che evidentemente ritengono di poter avere condizioni migliori, dall’altra è un meccanismo che crea erosione nel fatturato in un mondo del consumo sovradimensionato, dove tutto è presidiato e va a scomparire anche la dimensione affettiva legata al punto vendita.

Cosa si sente di rispondere a chi muove accuse di inefficienze costose e mancata trasparenza?

Derivano da scelte fatte in tempi diversi, nei quali l’investimento, ad esempio immobiliare, aveva altro valore. Chiaro che rimettere in efficienza strutture che hanno il loro principale costo nel personale significa fare dei sacrifici che si riflettono sulle persone. Nel caso di SAIT forse siamo stati tardivi nel prendere decisioni ma l’azienda ha bisogno di definire la presenza di lavoratori che in questo momento non rispondono ai costi. Credo che per alcune delle 130 persone indicate ci saranno misure di accompagnamento al pensionamento.

Fezzi, lei ha fatto capire fa capire che può risultare stucchevole richiamarsi ai padri fondatori come don Guetti. Valori superati, quelli?

I tentativi di cooperazione oggi sono molto più difficili da valorizzare: i partiti, la politica, le organizzazioni sociali riescono meno a coltivare questa dimensione. In qualche modo viene impedito di ripartire dai valori tipici della cooperazione: solidarietà, sussidiarietà. Lo sforzo di riconiugare e ridefinire questi valori deve puntare, per fare un esempio specifico, a cercare di capire se ci sono dei modi per trovare un accordo tra DAO e SAIT. E’ un obiettivo che cerchiamo di perseguire.

Ritornando al suo settore di competenza, l’agricoltura, quale virtù deve tornare a “coltivare” la cooperazione?

Oltre all’agricoltura vedo ben radicate anche le cooperative sociali che si occupano di anziani e bambini, ambito dove la cooperazione ha ancora futuro. In generale la cooperazione deve comunque coltivare la sobrietà che racchiude in sé condivisione, mutualità. Per poter progettare un mondo più attento alla sostanza.

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