Palù di Giovo, la scuola dell’infanzia verrà intitolata a Maria Pellegrini

Maria Pellegrini e la sua famiglia
Intitolare la nuova scuola dell’infanzia di Giovo, che sarà inaugurata fine maggio, all’ostetrica Maria Pellegrini. Lo ha chiesto una delegazione di cittadini accolta mercoledì 8 marzo nella sala riunioni della Giunta comunale dal sindaco di Giovo Vittorio Stonfer, dalla sua vice Marisa Biadene e dall’assessore Stefano Pellegrini che, al termine dell’incontro, hanno comunicato ai presenti che si sarebbero attivati fin da subito, per avviare l’iter per l’intitolazione.

Maria, come racconta il documento consegnato ai cittadini all’amministrazione comunale, fu levatrice per missione e soprattutto donna ricca di umanità. Nacque a Palù di Giovo il 3 agosto 1889; giovanissima, nel 1908, sposò Luigi Sebastiani “dei Brusinei” di Palù e dal loro matrimonio nacquero 5 figli: Egidio, Giuseppina, Assunta, Emilia e Luigia; incinta per la quinta volta, perse il marito, che morì di infarto, nel 1915.

La Provvidenza intervenne però in suo aiuto: le autorità, visto il caso pietoso e conoscendo le capacità della donna, videro in lei una possibile ostetrica comunale e le offrirono l’opportunità di frequentare un corso di formazione, per diplomarsi levatrice e ricoprire tale ruolo a Giovo, che all’epoca ne era sprovvisto e doveva fare ricorso a quella di Lisignago.

Maria, anche se prostrata dal dolore, si sentì lusingata e onorata, e così vide realizzarsi il suo sogno; parlò immediatamente con mamma Fortuna, che accettò di buon grado di prendersi cura della famiglia in sua vece. Donna intelligente, di carattere forte, pur essendo incinta, Maria partì per Innsbruck, capoluogo del Tirolo (all’epoca il Trentino-Süd Tirol, faceva parte dell’Impero Austroungarico)

Diplomata come Geburtshelferin, aiutante per la nascita, immediatamente assunse l’incarico a Giovo; ebbe così inizio la sua missione fra la sua gente che sarebbe proseguita per i successivi quarant’anni. Ben presto ci si accorse che era stata individuata la persona giusta: competente, sensibile, dedita e altruista. Maria precorse i tempi, in quanto invitava i mariti ad assistere alla nascita del loro figlio e all’occorrenza a dare una mano. Se però si accorgeva che il neopapà non reggeva, lo faceva uscire dalla stanza, per non complicare le cose.

Il primo parto che seguì fu quello di Federico Sebastiani “dei Padeloni”, figlio di sua sorella Lodovina; tutto andò bene. Anche la sorella Carlotta, moglie di Vincenzo Brugnara “dei Anderli”, era incinta per la terza volta ed era giunto il momento del parto; il marito si trovava in guerra, sorsero complicazioni e la povera partoriente morì nel dare alla luce una bambina, alla quale venne dato il nome di Luigia.

Maria non ebbe nemmeno il tempo di riprendersi dal dolore, che dovette correre da un paese all’altro per assistere le numerose partorienti; a quell’epoca era normale per una donna avere anche 12 – 15 figli, per cui il lavoro non mancava mai, né di giorno né di notte, anche tre parti nella stessa giornata. Naturalmente si spostava sempre a piedi, però in casi eccezionali si faceva portare con la carretta trainata dal bue: come quando negli ultimi giorni di gennaio del 1952 riuscì ad arrivare a Palù assieme al marito Guglielmo, accompagnato dal fratello Germano, che dovettero aiutare con grandi spinte, l’animale a trainare il mezzo in quella “nevera”: i due neonati passarono alla storia come “quei dala careta”.

L’ostetrica era dalla parte delle donne e le proteggeva, costringendole a stare a letto per una settimana, dopo il parto; altrimenti avrebbero dovuto riprendere immediatamente i lavori pesanti. Inoltre, per 40 giorni, non potevano mettere le mani in acqua; in tal modo doveva intervenire qualcun altro ad aiutarle. Era l’unico periodo di ferie tra un parto e un altro.

Ciò che diceva “la comare”, veniva rispettato alla lettera; comunque queste precauzioni servivano per evitare infezioni e rischio di emorragie. Visitava le sue pazienti senza essere chiamata, viveva la sua professione come una missione. Se accadeva che una donna perdesse il figlio, la comare andava da un’altra mamma, che sapeva non avere latte a sufficienza e portava il bambino di questa a quella, perché lo saziasse.

Maria esercitò instancabilmente la sua missione per lunghi anni “festa e dì de laor”, sempre mossa da spirito umanitario, con grande competenza, sensibilità e amore. Faceva più del medico, era un punto di riferimento per tutti. Dispensava saggi consigli e tante persone ricorrevano a lei.

La “comare Bragona” non diventò mai ricca, perché non veniva pagata dalle famiglie, anche se gli straordinari superavano di gran lunga gli orari stabiliti. Aveva un grande cuore indistintamente per tutti ed era perciò amata, stimata e apprezzata dall’intera popolazione di Giovo.

Si spense nel 1962, all’età di 72 anni, lasciando un grande rimpianto in tutti coloro che l’avevano conosciuta.

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