L’aldiqua di Dante

Oltre 250 persone a seguire Vivaldelli, moderno Virgilio, nella salita lungo le sette cornici del Purgatorio

È Dante. In una parola bellezza. Quella che sperimenti nel momento in cui la fatica del movimento ascensionale lungo "Le sette cornici del Purgatorio" viene ripagata dal giungere alle porte del Paradiso, scoprendo "La gioia della salita".

Il viaggio nella Divina Commedia iniziato in ottobre con l’esplorazione dell’anti-Purgatorio è continuato con la coinvolgente lettura sui sette vizi capitali offerta dal biblista Gregorio Vivaldelli, professore ordinario allo Studio Teologico Accademico di Trento, impreziosita dagli inserti musicali dell’Ensemble Concilium guidato dal direttore dell’Ufficio ecumenico Alessandro Martinelli, ospitata martedì 14 marzo nell’affollatissima Biblioteca diocesana del Vigilianum di Trento.

"Dante ci parla dell'aldilà per parlarci dell'aldiqua e insegnarci l'arte di vivere sulla terra – ha esordito Vivaldelli -: egli porta al centro della realtà, nella vita intesa non come reality show in cui il valore delle relazioni è distrutto, ma come real life dove ciò che conta è fare la fatica di scegliere tra il bene e il male e prendersi cura del rapporto con se stessi, con gli altri, con Dio e il creato". Alzare lo sguardo alle stelle significa perciò trovare valide ragioni per andare avanti nonostante le difficoltà: "La selva oscura è l'esperienza del disorientamento, ma la vita la vivi in movimento, stando in mezzo ad essa, scoprendo il motivo per cui camminare ossia ciò che ti rende stesso, libero, felice e perciò capace di rendere felice gli altri".

La prima cornice è quella dei superbi ed è la più ampia perché è il vizio che più preoccupa Dante: "Sono persone che pensano di avere sempre ragione e di sapere tutto, perciò si credono Dio: schiacciati dal loro ego, per contrappasso portano sulla schiena un masso e cantano il Padre nostro per ricordare che invece siamo tutti fratelli".

Il passaggio da una cornice all'altra è consentito da un angelo custode che indica la "chiave" della felicità, cantando la beatitudine corrispondente: "È possibile vincere i vizi se trovi una gioia più grande che ti motiva a fare la fatica di cambiare: per i superbi si tratta di riscoprirsi poveri in spirito, di essere umili e riconoscere di avere bisogno dell'aiuto degli altri, per gli invidiosi, che hanno usato gli occhi per desiderare le cose altrui e perciò si ritrovano con le palpebre cucite con un filo di ferro, la felicità che guarisce è la misericordia poiché chi è misericordioso con se stesso e gli altri cambia il modo di vedere le cose, ha lo sguardo di Dio".

Vivaldelli ha poi passato in rassegna ira, accidia, avarizia, gola e lussuria descrivendone le caratteristiche e l'"antidoto" indicato da Dante che, giunto alla settima cornice, viene motivato da Virgilio a proseguire entrando nel "fuoco" delle sue difficoltà poiché al di là di esso troverà Beatrice: "Dante insegna che per uscire dalla selva oscura e per continuare a camminare abbiamo bisogno dell'aiuto di una guida che mostra un bene più grande: magari non lo vedi, ma desiderarlo ti sprona a superare la paura e fare qualcosa per raggiungerlo".

Il biblista ha concluso la "salita" con la citazione di un tweet di Papa Francesco del 2013 in cui le Beatitudini e Matteo 25 – passo del Vangelo incentrato sulla carità fraterna – sono considerate dal pontefice "un ottimo programma di vita per tutti noi".

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