Qui i migranti sono accolti come figli

Alla parola “invasione” emerge la rabbia di chi si sente vittima di strumentalizzazione mediatica

O’ scià! Fiato mio. Veniamo accolti così a Lampedusa, il luogo più a sud d’Italia, tanto da non rientrare nemmeno nelle previsioni meteo del tg. La costa rocciosa si staglia solenne sul mare profondo, da sempre alleato dello scambio culturale e troppo spesso teatro di gravi tragedie. Ad ogni strada percorsa si abbatte poco alla volta l’idea iniziale di Lampedusa. Non vediamo gruppi consistenti di migranti e la popolazione conduce una vita comune. Parliamo con le persone di questo aspetto e sono loro stesse a domandarci se effettivamente la immaginavamo così. Sono quasi divertite nel chiedercelo, conoscono già la risposta.

Alla parola invasione emerge la rabbia di chi è vittima di strumentalizzazione mediatica.

L’accoglienza è il pilastro portante dei lampedusani, dai ragazzi del liceo al falegname, e scopriamo le storie di migranti accolti come figli. Sono strascichi di vita pieni di speranza contro la rassegnazione alla morte, storie reali di pochi mesi fa. Il viaggio, gli inganni, la prigione, le torture, il mare. Molti non hanno coraggio di parlarne a lungo. Mohammed, ivoriano, trova invece la forza di sorridere grazie alla joie de vivre.

Troppo spesso i migranti vengono spersonalizzati e considerati numeri, ma ognuno di loro ha una propria vita, delle proprie emozioni, delle passioni, dei sogni. Le sofferenze, a cui vanno incontro, consapevolmente o meno, per la sola possibilità di vivere dovrebbero far comprendere all’umanità la disperazione che li spinge a emigrare.

Prima di ripartire abbiamo giocato con i giovani migranti per strada come un gruppo di amici, parlando la lingua dei sorrisi; tutta questa esperienza rimarrà indelebile in noi. 

Anna Boglioni

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