Vittime del nostro benessere

C'è un filo rosso che collega le miniere di Coltan della regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo con le discariche di apparecchi elettronici di varia origine del Ghana: lo sfruttamento di migliaia di diseredati, la cui dignità è calpestata in nome del profitto. “Vittime della nostra ricchezza”, come li definisce Stefano Stranges, fotografo indipendente che nella mostra “The victims of our wealth. From Congo to Sodom and Gomorrah” racconta, in 74 potenti immagini, la filiera di consumo e sfruttamento del materiale tecnologico, dall'estrazione dei minerali senza un controllo sui diritti umani nelle miniere del Nord Kivu fino allo smaltimento illegale e incontrollato nelle discariche di Accra, in Ghana. Minerali come quella varietà di columbo-tantalite con alto tenore di tantalio, elemento raro e prezioso per la realizzazione di componenti elettronici, che viene chiamata familiarmente Coltan.

Insieme al reporter e documentarista Daniele Bellocchio e a Beatrice Taddei Saltini dell’associazione “46° parallelo”, che pubblica l’Atlante delle Guerre, Stranges ha incontrato, in due distinte mattinate, il 13 e il 14 maggio scorsi, gli studenti dei licei “Leonardo da Vinci” e “Galileo Galilei” di Trento per parlare di coltan e di risorse, ma anche del dramma delle donne della Repubblica Democratica del Congo, dove lo stupro è usato come arma di guerra: simbolo della lotta a questa metastasi che dilania il Paese (oltre 15 mila casi di donne abusate nel solo 2015, che significa un caso di violenza ogni mezz’ora) è il dottor Denis Mukwege, candidato al Premio Nobel nel 2014 e vincitore nello stesso anno del premio Sakharov, che parla dello stupro come di una piaga sociale, perché le vittime non sono considerate tali, ma colpevolizzate e allontanate sia dai mariti sia dalla comunità. Bellocchio lo documenta nel reportage “Mwavita. Nata in tempo di guerra”, una delle opere finaliste al Premio Giornalistico Internazionale Marco Luchetta, proposto venerdì scorso 13 maggio alla visione di un gruppo ristretto di rappresentanti della Commissione Provinciale Pari Opportunità, del Forum Trentino per la pace e i diritti umani e dell'Accri. Queste due ultime realtà sostengono il progetto “High-Technology, Low-Humanity?”, coordinato con sensibilità e passione dal prof. Stefano Paternoster, che ha portato a Trento, in più occasioni, per sensibilizzare sul rapporto tra tecnologia, risorse, conflitti e violazione dei diritti umani l’attivista di origine congolese John Mpaliza. Questo ingegnere informatico nato a Bukavu, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, da 21 anni è in Italia, di cui è diventato cittadino, ed è conosciuto anche con l’appellativo di “Peace Walking Man” proprio per l’infaticabile azione di informazione sul legame tra risorse e conflitti in Africa. “Dall’incontro con John Mpaliza, un paio di anni fa, è nata l’idea di questa mostra – spiega Stranges – che si sviluppa in due momenti”. La prima tappa l’ha portato nel Nord Kivu, tra gennaio e febbraio 2016, nei villaggi della regione di Masisi dove è concentrato un alto numero di miniere dove torme di disperati cercano di sopravvivere estraendo a rischio della vita quei minerali così richiesti dall’industria elettronica. La seconda tappa l’ha condotto, tra gennaio e febbraio 2017, ad Accra in Ghana, per raccontare una giornata, dall’alba al tramonto, nella più grande discarica di materiale tecnologico del mondo, Agbogbloshie, conosciuta come “Sodoma e Gomorra”.

“Non si tratta di demonizzare la tecnologia – spiega Stranges -. Il mio lavoro non è una denuncia contro la tecnologia, ma contro il consumo compulsivo che ci spinge a possedere sempre l’ultimo modello tecnologicamente più avanzato”. Con la conseguenza che dalla fine degli anni Novanta la richiesta di minerali come il tantalio è cresciuta in modo esponenziale: e a fare le spese dell’intenso sfruttamento da delle grandi multinazionali sono le popolazioni dei territori interessati, dove il controllo delle risorse scatena sanguinosi conflitti. “L’intento di questo lavoro è quello di creare una maggior consapevolezza del terribile impatto ambientale e del costo umano che questa filiera, dall’estrazione dei minerali allo smaltimento illegale, può avere”. Come in altri lavori di Stranges, spicca l’elemento umano: “Credo che sia importante conservare la propria umanità, in qualsiasi situazione. Quelle che ho incontrato sono persone normalissime, che cercano di sopravvivere là dove le hanno messe le circostanze della vita. Per questo documento anche situazioni della vita quotidiana: il ragazzo che impara a suonare la chitarra, l’abbraccio di un bambino, una mamma che allatta. Anche in un ambiente surreale come Sodoma e Gomorra”.

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