La penna virtuosa e vivace di Luigi Meneghello

Alla metà di giugno del 2007, dieci anni fa, Luigi Meneghello teneva a Trento, in una sala affollatissima della Biblioteca di via Roma, la sua ultima conferenza per il grande pubblico (l'intervento è stato proiettato in Biblioteca, dopo 10 anni esatti, mercoledì 14 giugno). Presentato brillantemente da Giuseppe Colangelo, lo scrittore aveva raccontato al pubblico le sue esperienze di partigiano – aveva combattuto nelle montagne del vicentino, sconfinando talvolta anche in Trentino – e le sue vicende di scrittore, che aveva visto e ricordato l'Italia dall'Inghilterra, dove era stato professore universitario per oltre trent'anni a Reading. Circa due settimane dopo, lo scrittore, già ottantacinquenne, sarebbe mancato.

Luigi Meneghello (Malo, 1922 – Thiene, 2007). Aveva esordito nel mondo letterario a quarantun anni, nel 1963, con il romanzo per cui è più conosciuto dal grande pubblico: Libera nos a malo (1963). Seguirono varie opere, tra cui I piccoli maestri (1964), Fiori italiani (1976) e Il dispatrio (1993).

Libera nos a malo è un romanzo ricco di motivi, tra un’impetuosa vivacità di narrazione e passaggi di nostalgia, tra humour e riflessione. L’autore vi impasta, in trentuno capitoli, le vicende personali e di un minuscolo paese delle colline alto-vicentine tra fine anni venti e fine anni quaranta, lavorando con l'esperienza costruttiva e linguistica dell'adulto dell’adulto i linguaggi del bambino, dell’adolescente e del giovane studente universitario e poi partigiano.

L’italiano vi si fonde con inserimenti da altre lingue: inglese, francese, latino, ma soprattutto dal dialetto alto-vicentino: ma la lingua natìa a cui si richiama più spesso, seguendo il filo rosso della memoria, è il dialetto. Con frequenti pennellate umoristiche lo scrittore narra aspetti e tradizioni della vita di un paese ai margini dell’Italia del tempo, con passaggi di fine acutezza e momenti particolarmente riusciti nei capitoli che vedono protagonisti i bambini: con le loro filastrocche (“El Conte de Milan / co le braghe in man / col capél de paja / Conte canaja!”) e le prime esperienze di vita. Come l’incontro con la pallida Sidonia giunta dalla città, di cui il protagonista si innamora all’istante e che decide di amare “subito e senza con condizioni, come cosa venuta da Vicenza a Malo a mostrare com’è un miracolo”.

Tra gli altri libri di Meneghello, particolare risalto assume Fiori italiani, che ripercorre criticamente i suoi percorsi scolastici, gli entusiasmi e le delusioni alle scuole elementari, poi negli studi liceali a Vicenza e universitari a Padova. “E’ una cronaca delle varie fasi di questo processo intellettivo, esposte con la precisione e il grado di emozione di cui si era consci mentre avvenivano”, ne scrisse anni dopo il suo autore. La via di fuga dalla cappa grigia e limitante del culturame imposto dal fascismo fu l’incontro con un giovane intellettuale libero, Antonio Giuriolo, che rappresentò la svolta definitiva grazie alla quale il giovane Luigi amplierà i suoi orizzonti politici e culturali.

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