Di fronte alla morte

Da Longarone a Srebrenica, dal K2 all'Alto Adige, dalla Patagonia al Kazakistan, i mostra cimiteri e luoghi di sepoltura

L’anno scorso Giorgio Salomon aveva allestito a Trento due mostre. In febbraio, presso la Galleria Civica, “Tutti in piazza!”, un suggestivo racconto di Piazza Duomo e delle vie limitrofe quale cuore vibrante della città; in aprile, a Palazzo Trentini, “Ombre”, una esposizione di foto sue, di Franco Filippini e di Manuela Baldracchi sul tema dei migranti. Due mostre piene di vita, spesso drammatica ma di vita. La sua nuova mostra, “Territori inesplorati”, attualmente aperta nei locali di Hortus Artieri, è invece sui cimiteri e i luoghi di sepoltura, con il loro carico di struggente romanticismo.

Anche davanti agli scempi umani, alle vicende terribili delle quali si trova ad essere testimone, Giorgio Salomon fotografo non giudica mai, non alza mai la sua voce scandalizzata e offesa. Constata, fa un passo indietro, resta in silenzio.

Così a Longarone, nella serie di foto scattate l’11 ottobre 1963 nella valle del Piave sconvolta dalla immane onda che due giorni prima vi si era abbattuta provocando almeno 1910 morti. Un delinquenziale errore umano.

Così a Srebrenica, nel cimitero musulmano che accoglie il frutto del primo genocidio dalla fine della seconda guerra mondiale che vide il peggiore massacro di civili bosgnacchi da parte delle truppe paramilitari serbo-bosniache nel corso della guerra della ex Jugoslavia. Secondo le istituzioni ufficiali i morti furono oltre 8.372.

A maggior ragione Giorgio Salomon resta in silenzio davanti al luogo di sepoltura dei caduti della montagna allestito nei pressi del Campo base del K2, nel Karakorum, il cimitero più alto del mondo, quattro sassi con i nomi dei caduti graffiti su piatti e padelle.

Oppure a Sri Lanka, nel semplice cimiterino di campagna sistemato proprio sul bagnasciuga del golfo del Bengala, lì dove se viene un’onda un po’ più forte si porta via tutto.

O ancora nei due cimiteri degli indiani d’America, peraltro fra di loro lontanissimi, scoperti per caso uno al confine fra Cile e Argentina e l’ altro nello Yukon, entrambi con delle piccole casette di legno, quasi delle cucce da cani, che proteggono la sepoltura vera e propria.

O quello di Villandro/Villanders, sopra a Chiusa, con i morti sepolti dietro le croci in ferro, non davanti, perché possano vedere sorgere il sole.

Come scrive il filosofo e semiotico Alessandro Miorelli, con questo percorso di immagini realizzato senza un progetto predefinito dal 1963 all’anno passato, Giorgio Salomon ci porta non solo dove il mondo finisce, dalla Patagonia al Kazakistan all’Egitto, ma anche dove la vita finisce. Spazi lontani, luoghi inediti della perdita e della memoria, costituiti di segni sorprendenti che talvolta si ergono maestosi e superbi e altre volte appaiono umili ed essenziali. Forme limite dello spazio e del tempo, queste sepolture col loro silenzio ci dicono qualcosa sulla vita di coloro che ricordano e che non c’è più, ma al contempo anche sul territorio “inesplorato” (da cui il titolo) “dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore”, come William Shakespeare fece dire ad Amleto.

La piccola mostra allestita in modo minimalista negli ambienti intimi e raccolti di Hortus Artieri, la sede della associazione culturale di William Belli, Alda Failoni e dei loro amici, in vicolo dei Birri 7 (fino al 30 giugno, dal martedì al sabato, 17.30–20) prosegue il percorso già tracciato dalla mostra su “luttini”, danze macabre e reliquiari teso ad indagare quei luoghi dell'anima che, più o meno inesplorati, giacciono dentro ciascuno di noi.

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