Colle di San Biagio, il sociale in sinergia

In foto i primi interventi, compiuti nell’ autunno scorso, di-disboscamento-della collina lasciata incolta negli scorsi vent’anni
Acquistare i terreni del Colle che si innalza sulla zona occidentale di Levico per poterli innanzitutto ripulire e poi valorizzare nella direzione del biologico e del sociale. L’idea era nata dalla mente creativa di Dario Gottardi e, nel febbraio 2016, trentacinque privati, si sono costituiti nella società “Colle S. Biagio S.r.l.”. “In soli due mesi e per mezzo unicamente del passaparola- racconta Gottardi, già promotore del progetto che ha dato vita al parco Ràstel di Pergine Valsugana – abbiamo raccolto il numero di soci e di fondi necessario per cogliere questa opportunità”.Il “come” è stato deciso con la partecipazione di tutti i soci, organizzati secondo il ferreo principio democratico che pone l’assemblea sovrana e che limita il numero delle quote acquistabili da un singolo. “Questa impostazione – ci spiega una dei soci Licia Pirazzi – rispecchia una risorsa enorme, che è costituita dalle singole persone. Uniti nella stessa direzione di apertura, abbiamo articolato un progetto che racchiude in sé numerose attività di qualità, permesse dalla competenza che ciascuno di noi porta in Colle S. Biagio”.

La valorizzazione dell’area di circa otto ettari prevede infatti la riconversione agricola biodinamica dei numerosi terreni che saranno popolati da piante rigorosamente autoctone, il ricavo di grande prato pubblico attorno alla chiesetta che ospita gli affreschi del Cinquecento e la costruzione di alcune strutture seminterrate in legno in cui saranno situati dei laboratori di trasformazione dei prodotti coltivati in marmellate, prodotti per la casa e micro-birrificio, un piccolo punto vendita ai piedi della collina e la fattoria sociale che ospiterà gli animali utili al processo di biodinamicità delle colture, laboratori di pet-therapy e un piccolo caseificio.

Il filo rosso che legherà l’intera attività sul colle è quello del sociale: i posti di lavoro che saranno creati e la lavorazione delle terre verrà affidata ai soggetti svantaggiati nella misura maggiore possibile.

“Essendoci informati presso delle aziende fuori regione che hanno attuato progetti simili – dice Gottardi – abbiamo capito come l’attività sociale abbia una scarsa capacità di autofinanziamento e difficoltà a coprire i costi gestionali, per cui è necessario prevedere sinergie con servizi di ristoro e vendita dei prodotti”.

Lo scopo e il successo dei 35 soci è dunque quello di creare dunque un’azienda che si regga da sé, senza cercare minimamente lo spazio per un guadagno che sia diverso da quello comunitario. “Vogliamo semplicemente promuovere uno stile di vita in contatto con la natura e i suoi tempi, convinti che ciò costituisca benessere condiviso. L’unico modo per farlo in maniera dimostrativa è creare un bene che non ci appartenga più di quanto apparterrà alla comunità”. Un operato che contiene già il fine della propria azione.

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