“L’incontro non solo è possibile, ma è necessario”

Oggi dopo 800 anni la presenza francescana continua ad attraversare le linee di fuoco che devastano il Medio Oriente

Nel 2017 ricorrono gli 800 anni di presenza francescana in Terra Santa. Per festeggiare la ricorrenza, la Custodia ha messo a punto una serie di iniziative, che vedranno il loro clou nel prossimo ottobre, ma che si protrarranno fino al 2019 quando verrà ricordato il viaggio di san Francesco a Damietta, vicino a Il Cairo, e il suo incontro con il sultano d’Egitto Melek-al-Kamel, nipote di Saladino.

“In piena quinta Crociata, Francesco sbarcò ad Acri – ricorda al Sir padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa – per poi raggiungere Damietta dove incontrò il sultano. Invece di restare trincerato nel proprio campo, Francesco attraversò le linee di guerra riuscendo ad arrivare nel campo dell’altro e a dialogare. Il colloquio durò diversi giorni e, alla fine, non ci fu solo rispetto, ma anche una forma di stima reciproca. Ciò dimostra che l’incontro è possibile davanti all’apertura di cuore”.

Ottocento anni con lo stile di Damietta: qual è oggi il valore della presenza francescana in Terra Santa?

Credo che il valore vada ricercato nella metodologia che lo stesso Francesco indicò ai frati nella Regola “non bollata” del 1221, nel capitolo dedicato alla missione. I frati, affermava il Santo, possono comportarsi in due modi: non facciano liti e dispute, siano sudditi e soggetti a ogni umana creatura per amore di Dio e confessino di essere cristiani. Non fare dispute e liti: in questi 800 anni ha significato la capacità di adattarsi all’ambiente multiculturale, multietnico e multireligioso di questa terra. Il mettersi a servizio degli altri per amore di Dio ha generato, poi, nella Custodia tutta una serie di attività cresciute in questi 8 secoli.

La presenza francescana si connota soprattutto per l’impegno nel settore dell’educazione e dell’istruzione.

L’apostolato delle scuole si è sviluppato sin dall’inizio: la prima scuola risale alla metà del 1500 a Betlemme. Oggi abbiamo una decina di istituti con oltre 10 mila studenti, in larga maggioranza musulmani. Sono luoghi formidabili di educazione alla convivenza e alla costruzione della pace, necessari per rifuggire da estremismi e fondamentalismi che in questo tempo riprendono vigore.

Da dove nasce la passione per l’archeologia? Ai francescani si devono molti dei più importanti ritrovamenti archeologici nei luoghi santi…

L’archeologia è, con le scuole, un fronte dove si costruiscono la convivenza e la pace. Il motivo per cui i frati si sono appassionati alla archeologia, sin dal 1900, è il loro amore per l’Incarnazione del Figlio di Dio e per i luoghi e le pietre che ne trasmettono la memoria. Non sono semplici pietre. Sulla passione per l’archeologia si è innestato lo studio della Scrittura nello Studio Biblico francescano. Ora abbiamo in progetto a Gerusalemme il Museo di Terra Santa, un luogo che faccia toccare con mano la storia dell’identità cristiana in Terra Santa. L’identità cristiana deve essere collocata accanto a quella ebraica e musulmana.

Dalle pietre dei Luoghi Santi alle pietre vive che sono le comunità cristiane di Terra Santa.

Le pietre storiche dell’archeologia sono anche quelle che offrono aiuto ai cristiani locali per preservare la propria identità, perché intorno ad esse gira l’economia favorevole dei pellegrinaggi. Ma ci sono tante iniziative di sostegno materiale messe in campo dalla Custodia per aiutare la comunità cristiana come i progetti di nuove abitazioni che in questi ultimi anni stiamo rivolgendo alle giovani coppie perché non emigrino.

Cosa offrono i frati ai pellegrini nei Luoghi di Gesù?

Offriamo una guida spirituale e case di accoglienza, insieme alla garanzia e la grazia di poter celebrare nei Luoghi Santi. Accogliamo i pellegrini perché possano fare un’esperienza di fede profonda.

Il logo delle celebrazioni è la miniatura medioevale dell’“approdo di San Francesco in Terra Santa”. 800 anni dopo un nuovo incontro tra le fedi è possibile?

L’incontro non solo è possibile ma è necessario. Per questo gettiamo semi. Dobbiamo solo avere la pazienza del seminatore e non scoraggiarci se non vediamo subito i frutti.

Daniele Rocchi

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