“Il primo podio è quello della vita”

Don Daniele laghi, 36 enne parroco di Sant'Orsola Terme, consulente ecclesiastico diocesano del CSI e membro della giunta regionale del CONI, ha portato il suo sostegno spirituale anche all'ultimo Tour de France

È il vincitore trentino del Tour de France 2017, pur non avendolo corso su due ruote. Alla Grande Boucle, infatti, don Daniele Laghi – 36enne parroco di Sant'Orsola Terme, consulente ecclesiastico del CSI provinciale e membro della giunta regionale del CONI – ha partecipato guidando spiritualmente la carovana gialla e meritandosi un articolo su L'Équipe, il più prestigioso quotidiano sportivo del mondo.

Don Daniele, l'hanno definita “star du peloton”. Dopo il Giro d'Italia e il bel trafiletto di due anni fa su La Gazzetta dello Sport, è diventato “una stella del gruppo” anche oltralpe.

L'articolo ha sorpreso anche me, non me l'aspettavo. Mi ha fatto piacere, perché significa che sono stato accettato e accolto. Ero al Tour, con tre miei parrocchiani, a salutare non solo i corridori ma anche direttori sportivi, fotografi e giornalisti. Ho incontrato, tra gli altri, Alessandro De Marchi, Damiano Caruso, Maxime Bouet, il campione olimpico belga Greg Van Avermaet, Fabio Aru e Giuseppe Martinelli. La mia è stata una presenza spirituale, di sprone attraverso la preghiera. Ho cercato di dare sostegno a ragazzi impegnati lontano da casa, dunque dai loro affetti più cari. La vera “star” è sempre lo spirito di gruppo, più importante delle doti che pure un ciclista deve necessariamente avere. Senza il gruppo, il capitano non è nulla.

Com'è nata la sua passione per il ciclismo?

Al ciclismo mi sono avvicinato nel 2009, grazie al G.S. Alto Garda che organizzava l'allora Giro del Trentino. Da piccolo, le mie passioni erano più calcio e nuoto. A pallone peraltro gioco ancora, allenandomi con il Bersntol, una squadra di Seconda Categoria della Valle dei Mòcheni. Ma, per fare gruppo, conta più la pasta in canonica dopo l'allenamento. Un messaggio di vita e di collaborazione lo porto anche al Trofeo Beppe Viola: iniziai benedicendo il torneo, da viceparroco ad Arco, e ci vado adesso da rappresentante del CONI. Ho mantenuto contatti con il dirigente accompagnatore della Juventus, Flavio Mantovani, e con l'arcense doc Michele Santoni, nuovo training coordinator del Cagliari, rivisto recentemente nel ritiro della squadra sarda in Val di Pejo.

Dalla frazione natale di Santa Lucia, a Chizzola di Ala, ne ha fatta di strada, insomma. Quanti chilometri percorre ogni anno per seguire le varie manifestazioni sportive?

Faccio 40/45 mila chilometri all'anno. Sono tanti, sebbene percorsi su quattro ruote anziché due. Cerco di coniugare i vari eventi con la vita pastorale. Ho presenziato, per esempio, al Gran Premio di Capodarco, una gara marchigiana Under 23 che è stata definita “Il piccolo Tour”, ai Mondiali di ciclismo di Firenze 2013, alla 26ª Winter Universiade Trentino e, sempre quattro anni fa, ai Campionati del Mondo di sci nordico in Val di Fiemme.

Ci sono corridori con i quali è nato un rapporto che va al di là dello sport?

Sì, penso a Ivan Basso, Michele Bartoli, Vincenzo Nibali, Gilberto Simoni, Moreno Moser, Daniel Oss o Manuel Quinziato. Sono tutte persone con le quali si è instaurato un rapporto di amicizia, confronto spirituale e riflessione. Oltre al ciclismo, ci sono l'umanità e l'intimità delle loro case, nonché delle loro famiglie. Del bolzanino Quinziato, nel novembre 2015, ho celebrato il matrimonio a Santiago de Compostela. Ma ho sposato anche il pilota di motocross Alessandro Lupino e frequento il grande Tony Cairoli. Così come sono amico del capitano dell'Aquila Basket, “Toto” Forray, e di Thomas Degasperi, un campione di sci nautico e di umanità. Pur utilizzando i social network Facebook, Twitter e Instagram, prediligo il rapporto reale a quello virtuale. Inoltre mi piace raffrontarmi con sportivi di culture e religioni diverse. Di recente, in Alto Adige, ho fatto visita alla squadra ciclistica britannica del Team Sky.

C'è un atleta che ormai la considera un portafortuna?

Qualcuno che tiene particolarmente alla mia presenza c'è, in effetti. Nibali dice che, quando ci sono io, o vince o raggiunge in ogni caso l'obiettivo. Fa piacere, perché consolida il rapporto di cui parlavo prima. È un qualcosa che va oltre lo sport fine a sé stesso e aiuta a riscoprire la spiritualità.

Bisogna essere persone di grande spiritualità anche per sopportare il dolore. Conosceva pure Michele Scarponi, il vincitore del Giro d'Italia 2011, morto lo scorso aprile?

Sì, lo conoscevo, pur non avendo molta confidenza con lui. Lo avevo visto proprio due giorni prima del tragico incidente stradale. Conoscevo meglio il motociclista statunitense Nicky Hayden, che avevo incontrato a Madonna di Campiglio: era un uomo di preghiera. In entrambi i casi ci sono rimasto male. Purtroppo lo sport non riserva solo gioie. E noi sacerdoti dobbiamo essere presenti anche in questi momenti. Sport a parte, ognuno deve sfruttare il proprio talento, che è un tesoro di Dio e che il Signore gli mette nel cuore. Il primo podio è quello della vita. Bisogna fare della propria vita un dono.

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