Don Pietro, cappellano di Montecitorio

Ci sono storie che vanno tolte alla polvere della dimenticanza o dell’ignoranza per restituirle alla luce, alla loro candida, efficace presenza. E’ il caso di colui che è stato chiamato il primo “cappellano di Montecitorio”, sede della Camera dei deputati a Roma. Ma qui non siamo alle cronache parlamentari. Si tratta di un sacerdote, don Pietro Barbieri, nato sul finire dell’Ottocento, nel 1893 e vissuto – una vita intensa e “anticonformista”, la sua – fino al 1963.

Ce ne restituisce la figura, di estrema attualità perché capace di andare oltre gli steccarsi e di mettersi in gioco, un bel libro di Paolo Rizzi (Un italiano monsignore. Pietro Barbieri: il primo cappellano di Montecitorio, Effatà, pag. 174, 12 euro) che ripercorre, con un fraseggio brillante e avvincente, l’itinerario umano e spirituale di questo prete che non esitò, durante l’occupazione nazista di Roma, a mettere in salvo numerosi ebrei romani braccati e impauriti. Li accoglieva spesso nella sua abitazione, in via Cernaia a pochi isolati dalla stazione Termini, con rischio altissimo. E nella casa di via Cernaia – in quel tempo di terrore e delazione, di orrore e atti eroici umani – saranno ospitati anche persone come Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti e tanti altri come Bernardo Mattarella, il padre dell’odierno presidente della Repubblica.

Veniva chiamato, questo prete indomito e indomabile, col soprannome di “don falsario” tale era la sua abilità e arguzia nel falsificare i documenti che hanno salvato tante vite umane, strappandole all’abiezione. Il libro ricorda anche gli incontri di don Pietro con gli anarchici Sacco e Vanzetti, quand’era negli Stati uniti, con don Luigi Sturzo, Luigi Einaudi e il socialista Ivanoe Bonomi. Veniva chiamato “il sacerdote dei casi difficili”, era capace di dialogo e comprensione, senza vantarsi, come una cosa naturale. Per molti versi un anticipatore.

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