Mapuche, la rabbia e l’orgoglio

Santiago Maldonado, un giovane attivista per i diritti umani dei Mapuche, è sparito da più di un mese

Storia e cronaca si intrecciano in un viluppo sorprendente. Sto leggendo il romanzo “Doppio fondo” di Elsa Osorio quando l’attualità irrompe con tutta la sua drammatica irruenza. Letteratura e vita (Letteratura come vita, direbbe Carlo Bo) si intersecano in un intreccio impensato e tragico. Santiago Maldonado, un giovane attivista per i diritti umani dei Mapuche, è sparito da più di un mese in Argentina. Desaparecido? Dònde està Maldonado? – si chiedono angosciati i suoi parenti ed amici a Buenos Aires.

La vicenda inquietante di Santiago Maldonado rievoca la tristissima storia dei 30mila e più desaparecidos che negli anni del terrore in Argentina – dal 1976 al 1983 – sono spariti nel nulla, annientati, gettati nell’oceano direttamente dagli elicotteri dei militari o barbaramente assassinati nelle galere del regime dopo atroci torture.

Il luogo cupo in cui si torturavano i prigionieri per far dire loro i nomi degli altri “cospiratori” era la sede dell’Esma, la famigerata “Escuela de Mecànica de la Armada”, una prigione clandestina dove si maciullavano i corpi di donne e uomini colpevoli solo di ribellarsi all’ingiustizia, di gridare alta l’esigenza vitale della libertà, devastandone non solo il corpo, ma in modo irreparabile anche la mente, la psiche, l’interiorità, quanto di più prezioso e sacro alberga in noi.

Oggi in Argentina il presidente Macrì è impegnato da tempo in uno scontro personale con le Madres e le Abuelas – le madri e le nonne – de Plaza de Mayo. Queste donne coraggiose osservano senza arretrare di un millimetro che occorre fare piena luce su quegli anni, individuare ancora i colpevoli che si sono macchiati di quei crimini e oggi vivono nascosti e camuffati nelle pieghe della democrazia argentina, non arrendersi alla dimenticanza personale  e all’oblio collettivo. Mentre Macrì invita a chiudere la faccenda, dimenticare, voltare pagina, l’Argentina è avviata verso un fulgido, radioso avvenire, perché attardarsi sugli avvenimenti del passato? Loro invece non ci stanno. Insistono, persistono, resistono.

La vicenda del piccolo popolo nativo dei Mapuche si inserisce perfettamente in questo scenario. E vede coinvolta in presa diretta la famiglia della marca trevigiana veneta dei Benetton. Che c’entrano i Benetton che radiosamente sorridono nei cartelloni pubblicitari e nelle inserzioni reclamizzate dei quotidiani? E’ notorio che i Benetton sono proprietari di immense distese –migliaia e migliaia di ettari, non bruscolini – nella pampa argentina. Diversi – numerosi, tanti – lotti di queste terre appartenevano ai Mapuche. Si è aperto da tempo un contenzioso su chi siano i legittimi proprietari di queste terre, se le grandi multinazionali agro-alimentari e le oligarchie latifondiste oppure gli indigeni, in questo caso i Mapuche. Se la terra appartenga realmente a chi l’ha acquistata con denaro sonante o a chi l’ha abitata per secoli, vi è vissuto, l’ha fecondata protraendo in via naturale e misteriosa il germe delle generazioni.

A ben pensarci siamo in presenza di quella che il grande sociologo peruviano Anibal Quijano aveva chiamato la “colonialidad del poder”, la forma coloniale del potere. Se è vero come è vero che la riforma costituzionale argentina del 1994 aveva riconosciuto chiaramente l’esistenza etnica e culturale degli indigeni – le popolazioni native – prima della “scoperta” (meglio dire: conquista) dell’America, beh, allora risulta chiaramente che quello in atto è uno scontro durissimo tra il grande capitale che mira solo al profitto e a far soldi e il diritto di migliaia di persone a veder riconosciuta la possibilità di continuare a vivere nella terra dei loro padri e dei loro antenati. Un segnale evidente di questo iato – una discrepanza odiosa – consiste nel fatto che anche l’ordinamento della giurisprudenza argentina è chiaramente “schierato” a favore dei più forti (bella scoperta!). Infatti le cause intentate contro i leader indigeni sono discusse e giudicate con inusuale solerzia nei tribunali, mentre, al contrario, quelle intraprese dalle comunità mapuche contro i soprusi dei nuovi colonizzatori vanno avanti a rilento, tra mille cavilli giuridici e spesso vengono “dimenticate” nei cassetti e negli archivi. Appare veramente strano che le lunghe e ripetute presidenze dei Kirchner – prima il marito e poi, alla sua morte, quelle di Cristina – non siano riuscite a risolvere in modo chiaro e preciso queste vicende e questi contenzioni che nella sostanza appaiono di una evidenza lampante anche ai ciechi. Dimostrano che quando si instaura la democrazia dopo una dittatura, la strada per affermare i diritti e la dignità di tutti, a partire dai diritti e dalla dignità dei più deboli e svantaggiati è ancora lunga, accidentata, con mille insidie. La libertà è una condizione. Si può dare la vita per conquistarla. Occorre molta perseveranza, una fatica quotidiana per mantenerla quotidianamente e per accrescerne consistenza e qualità.

Appare un po’ odioso il fatto che i Benetton abbiano annunciato di aver “donato” alcune di queste terre che da secoli appartengono ai Mapuche, ai Mapuche stessi. I Mapuche hanno rifiutato l’obolo. Non vogliono elemosine, esigono il rispetto dei diritti. Una lezione di civiltà e dignità per tutti.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina