Novant’anni faccia a faccia

Il compleanno del Centro Missionario di Trento (1927-2017) è stato celebrato sabato 30 settembre in modo sobrio e propositivo, come è nello stile di questa importante realtà della Chiesa trentina. In una società in cui è forte la tentazione di chiudersi in se stessi si è parlato invece di una “missione allargata”, per dire delle sempre nuove sfide che impegna il fatto stesso di essere missionari oggi. La brava direttrice di Rttr, Marika Terraneo, ha interpellato i numerosi testimoni accorsi – a cominciare da tre vescovi – riguardo al significato della “missione”. Il vescovo di Trento Lauro Tisi si è richiamato ai volti e alle persone che nelle terre trentine “sanno uscire” e danno così aria e futuro al Trentino; “fino a che ci sono missionari la nostra terra ha futuro e speranza”. Mons. Giuseppe Sandri, di Faedo, da 37 anni in Sudafrica, ha ripercorso in breve il viaggio della sua vocazione missionaria, felice e feconda. Il vescovo mons. Giuseppe Filippi, dopo esperienze di lavoro e il servizio militare, ha avuto l’ispirazione di partire ed è in Uganda da una vita; ha ricordato che “occorre aver amore per la gente così com’è e poi non avere tante aspettative, i piani pastorali stessi servono prima di tutto per animare i pastori, vanno fatti, ma senza illudersi”.

Don Daniele Armani, pronipote di padre Remo Armani, ucciso per aver voluto rimanere con la sua gente, ha ricordato che può essere missionario un papà, una mamma, chiunque; quello che serve è uno stile di vita confacente. Per Beatrice Cappelletti, animatrice della parrocchia di Sant’Antonio a Trento (ha avuto tra i suoi alunni Daniele Armani), i bambini possono vedere la figura del missionario come qualcosa di distante, ma quando conoscono qualcuno di loro sanno intuire subito la gioia di vivere di chi dona la vita per gli altri. E’ toccato a Maddalena Zorzi dell’Accri, organizzazione non governativa fondata proprio dal Centro missionario guidato allora, 30 anni fa (un altro compleanno!), da don Girolamo Job, rappresentare un’associazione che dà un supporto al mondo della missione e agisce pure in proprio curando la professionalità degli operatori, costruendo pozzi, ecc. Anche Enrico Segnana, del Gruppo San Prospero di Borgo Valsugana, ha ripercorso l’appoggio costante dato in questi anni a don Francesco Moser a Timor est, nel campo dell’istruzione e dell’educazione in un piccolo paese poverissimo, ricco di bambini ricchissimo, dove c’è poca scuola, quasi niente lavoro; a Dili, la capitale, e sull’isolotto di Atauro si compiono piccoli mirabili miracoli: dar da mangiare agli affamati, da bere, acqua potabile finalmente, agli assetati. Fruttuosa pure l’azione missionaria in Uganda in appoggio al vescovo Filippi, tra nord Uganda, nord Congo e Sud Sudan, aree abitate dalla stessa etnia e quindi più facilmente raggiungibili in termini di aiuti, vicinanza e comprensione fra la gente.

A Paolo Caresia, giovane volontario rientrato, è rimasta impressa in modo duraturo l’esperienza estiva in missione di un mese, dopo un corso di preparazione di un anno, un lavoro specie su se stessi: “Torni e non sei più quello di prima, la missione ti ha cambiato!”. Cambiato nel vedere il mondo qui, capovolgendo i valori, intravedendo le cose che valgono davvero. Armanda Dellagiacoma, di Predazzo, ha portato il saluto dei gruppi di Fiemme e Fassa, ricchi di missionari. “Dopo la morte di suor Celestina, per un incidente qualche mese fa, per noi è importante mantenere il contatto con la sua comunità”. Così suor Celestina continua a vivere, è presente di una misteriosa vera presenza. “Fare da ponte”, mantenere i contatti perché vite ed esperienze belle non vadano disperse. Elena Pasolli, insegnante di italiano ai richiedenti asilo, anche a nome di altri componenti del gruppo, ha testimoniato riguardo alla bellezza e fecondità dell’incontro con l’altro, la sua cultura, la ricchezza che questa gente può portare a noi. E’ “l’impegno di impegnarsi” (un involontario bellissimo rafforzativo di Terraneo), un desiderio di mettersi a disposizione, non stare a guardare. Maria Ines Garcia Cinquentas, messicana, della Consulta migrantes, ha insistito sull’attenzione da porre verso gli altri.

Sono storie, testimonianze, spunti di riflessione, un ricco florilegio di vite che sanno mettersi in gioco: hanno scoperto che è più bello, arricchente pure, dare che ricevere. Come quelle due parrocchie sudafricane di mons. Sandri capaci di mettere a disposizione quel poco che avevano condividendo il cibo con 40 mila profughi (e qui da noi, ci spaventano 5 ragazzi siriani che turbano la pace di un paese di montagna!). E’ sempre a Sandri che capita di incontrare nella sua diocesi (nel Sudafrica uscito dall’apartheid politica e rimasto nella segregazione economica) un numeroso gruppo di profughi dal Mozambico a cui sono persino venuti i capelli bianchi per la malnutrizione, che dopo averlo incontrato, invece di lamentarsi o inveire, pregano e danzano cantando come segno di ringraziamento al Signore della vita che li ha salvati: “Sono loro che mi hanno convertito – osserva il presule di Faedo – con la loro fede e gioia. Davvero i più poveri di tutti sono i più accoglienti!”. E così una cinquantina di villaggi si mettono assieme e decidono di donare 4, 5 ettari di terra (per loro terra preziosa per il pascolo o le coltivazioni) ai profughi perché possano accamparsi. “E oggi tutti quei profughi – conclude soddisfatto – si sono integrati, sono tutti sudafricani!”.

Mons. Giuseppe Filippi dà cifre da capogiro: “Noi, nelle nostre zone, abbiamo 1 milione e 200 mila profughi all’ovest del Nilo. Lombara, congolesi, bagnaranda e altre etnie e si sono accampati in un’area dove già vive 1 milione di persone”. Anche il presidente ugandese è stato un profugo. E’ grandissima la compassione della gente –osserva mons. Filippi -, il fatto che le persone dicano: Quello che viene è figlio di Dio come me, perché non dargli ospitalità? E’ meravigliosa la compassione della gente, sono i politici che usano i profughi per i loro scopi (tutto il mondo è paese!, chiosa la conduttrice). Gente che ha poco o niente e che esprime una gioia che noi neanche ci sogniamo più!

L’accoglienza è missione essa stessa. Si evangelizza giorno per giorno nella semplicità dei gesti di attenzione ed ascolto. I bambini giocano con tutti, non stanno certo a guardare il colore della pelle. La necessità di essere strabici, un occhio qui, uno sguardo al mondo vasto e “lontano”. Si vede l’azione della Provvidenza, basta avere occhi puri per vederla. In quei posti ti salutano ancora così: “Se Dio vuole”, “Che Dio ti benedica”! Che cos’è evangelizzazione? E’ camminare nella luce. E don Lauro conclude: dobbiamo accorgerci che Dio è già in mezzo a noi, il Signore già lavora, la sua opera, il suo vangelo sono già in mezzo a noi.

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