Lui è venuto fra gli umili. E noi con chi stiamo?

Esistono termini che richiamano in maniera immediata non solo il loro significato intrinseco ma anche quanto essi evocano e scatenano nel ricordo, nella storia, nell’immaginario collettivo.

L’Avvento è uno di questi. Dal punto di vista etimologico la traduzione è semplice: l’avvento è la venuta, l’arrivo, di qualcuno o qualcosa. Ma la tradizione cristiana riempie questa parola di molteplici significati, tutti finalizzati ad una venuta particolare, unica, decisiva: quella di Gesù nella notte di Natale. Ed ecco allora che l’Avvento non è più solo un arrivo ma viene a significare tutto il tempo in cui questo evento è atteso.

E il significato fondamentale della nostra attesa è quello di sapere riconoscere i segni del Signore  in mezzo a noi. A partire da quello più evidente, dirompente, rivoluzionario, che interroga e sconvolge e modifica le nostre vite. Perché porta la notizia di un Dio che viene per tutti gli uomini, ma sceglie di nascere tra gli ultimi, i piccoli, gli indifesi, mostrandosi a suo volta umile e povero.

È un ribaltamento di prospettiva,  uno cambiamento culturale, che manda un messaggio chiaro e inequivocabile. Il Signore viene e inizia da chi sta più in basso, i poveri sono i suoi primi compagni di viaggio, la mangiatoia è il suo primo letto, non c’era posto per lui negli alberghi.

Una sorta di profugo, di emarginato, sicuramente in una situazione di debolezza, perlomeno uno sfortunato. Cioè l’immagine di chi incontriamo oggi sulle nostre strade, con tanti sfortunati che hanno bisogno di un po’ della nostra attenzione, con profughi che ci chiedono un futuro migliore, con persone emarginate che sono restate sole, con tanti – troppi – deboli che non vediamo o che non sappiamo vedere, non sappiamo aiutare, non conosciamo e non comprendiamo. E “l’omissione è il grande peccato nei confronti dei poveri”  ha ricordato Papa Francesco nella domenica dedicata alla Giornata mondiale dei poveri,  auspicando inoltre che «i poveri siano al centro delle nostre comunità non soltanto in momenti come questo, ma sempre; perché essi sono nel cuore del Vangelo, in essi incontriamo Gesù che ci parla e ci interpella attraverso le loro sofferenze e i loro bisogni»

Non è allora questione di vago spirito natalizio che intenerisce il cuore o di buonismo (parola terribile che, come tanti “ismi”, distrugge il vero significato di una parola come “buono”). Questo avvento di Dio tra gli umili è il centro del messaggio cristiano, non un episodio marginale della Bibbia o una storiella per bambini:  la “luce del mondo” inizia a brillare tra i pastori e procede in un cammino che vedrà sempre Gesù vicino ai poveri e agli ultimi, continuando a sovvertire le gerarchie sociali e culturali del tempo, indicando la strada da percorrere per ogni cristiano.

Ecco perché l’Avvento non può essere una semplice attesa di una bella festa tradizionale, assolutamente uguale a quella dell’anno precedente. È invece l’occasione per interrogarci e capire ogni volta come possiamo mantenere la nostra fedeltà ad un Dio buono che ha scelto di stare con noi, di comprenderci, di usare con noi misericordia e perdono. Ma che in cambio ci chiede di stare a nostra volta con qualcun altro, di guardarlo e accompagnarlo, di fare quel pezzetto di strada che ognuno può fare con chi è meno fortunato. Allora non sarà un’attesa vana, ma un cammino che ci porta a verificare e rinnovare la nostra vita davanti al Signore che viene.

Roberto Calzà

°direttore Caritas diocesana

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