Lo Zimbabwe volta pagina

Nello Zimbabwe devastato da una tirannia che dura da 37 anni siamo all’inverosimile. Al quasi golpe (verrebbe proprio da dire, se non fosse tragico, che non esistono più i golpe di una volta…). Cosa è capitato? Che il dittatore Robert Mugabe è stato prima defenestrato dai militari, poi riammesso al pubblico e condonato e infine non si sa più che fine farà. Una cosa è certa. Il suo lungo, sanguinario regime è finito. Stavolta definitivamente. E così colui che qualche decennio fa era stato salutato come il salvatore della patria per aver sconfitto il regime razzista bianco di Jan Smith che aveva ibernato la Rhodesia nel segregazionismo più abietto e anacronistico, esce di scena. Poco importa se sarà costretto all’esilio o gli sarà garantita una dimora dorata in qualche fattoria nella savana (in questo gioca un ruolo importante la cultura shona, l’etnia maggioritaria nello Zimbabwe, secondo cui è massimo il rispetto che si deve agli anziani in ogni contesto e circostanza, e Robert Mugabe oggi ha 93 anni!).

Tutto è ancora incerto e in divenire. Si pensa che a far scattare il colpo di stato dei militari (per quanto soft e fortunatamente non cruento) siano state le velleità della giovane moglie di Mugabe, Grace, la first lady dalle spropositate ricchezze ostentate in un contesto sociale di fame e di penuria estrema, aggravate dalle cicliche carestie, della gente, nelle città e nei villaggi. Come lady Marcos che nelle Filippine del dittatore Ferdinando Marcos collezionava centinaia di scarpa tra le più costose, così Gucci Mugabe nella sua lussuosissima casa alla periferia di Harare, circondata da pretoriani armati fino ai denti, con le sue 25 stanze adornate in stile rococò, ostentava sfacciatamente – spudoratamente – una ricchezza oltremisura, lei, 41 anni in meno del marito, che adesso aspirava a succedergli per diventare la nuova signora-padrona di questa porzione d’Africa tra le più ricche e le più oltraggiate del continente.

La sola cosa buona che ha compiuto in questi 37 anni di governo, Mugabe l’ha fatta nel campo dell’istruzione, dove ha abbassato enormemente il tasso di analfabetismo. Per il resto, un disastro. A partire da una riforma agraria che era forse lodevole nelle intenzioni – dopo l’accaparramento delle terre più fertili da parte dei bianchi -, disastrosa negli esiti. Le terre – siamo attorno al 2000 – erano state distribuite anziché ai contadini poveri, volenterosi e capaci di continuarne la capacità produttiva, ai funzionari del partito di governo (il partito Zanu), inetti e incapaci di farle prosperare. Si spiega anche per questo il fatto che lo Zimbabwe ha attraversato, in questi decenni, carestie che ne hanno spolpato il tessuto sociale, costringendo un terzo della popolazione ad emigrare nel vicino Sudafrica per non morire di fame. Questo mentre Mugabe e la sua cricca banchettavano nella casa presidenziale “dal tetto blu” a suon di caviale e altre leccornie fatte arrivare appositamente dall’Europa per i loro lauti banchetti!

Si è giunti, poco tempo fa, all’assurdo che un chilo di pane venisse a costare fino a due milioni di dollari dello Zimbabwe. Un’inflazione galoppante che ha falcidiato qualsiasi potere d’acquisto della povera gente, dei contadini e degli operai intenti a costruire quelle poche infrastrutture che servivano ai “coccodrilli” al potere. Uno scempio estremo, intollerabile e tollerato (l’Europa è stata a guardare, gli Stati Uniti di Obama sordi e muti alle grida d’aiuto della piccola e tenace opposizione interna).

Oltre a mettere agli arresti domiciliari Mugabe, i militari sono andati a scovare anche uno dei suoi più stretti collaboratori, quel ministro delle Finanze Ignacius Chombo che andava blaterando che non c’erano soldi per finanziare qualche sussidio alle famiglie più povere, e l’hanno trovato con nascosti sotto il letto 10 milioni di dollari americani in banconote. Uno scempio, in un Paese dove non si possono ritirare in banca più di 20 dollari per volta: il colmo dei colmi per questo povero e maltrattato Zimbabwe, che ha solo bisogno di voltare pagina al più presto e di recuperare i tesori che Mugabe e la sua cricca hanno depositato nei paradisi fiscali affamando la propria gente. Ripartire, lentamente ma con nuova lena. E l’Occidente (Europa e Stati Uniti – ma Trump non ci sente: arriva prima la Cina!) deve farsi perdonare le troppe colpevoli assenze e omissioni, con investimenti reali. Non ne servono tanti, ma quei pochi che siano veloci e arrivino al più presto. Lasciandosi alle spalle la triste tirannia di Mugabe, qualunque sia il suo personale epilogo.

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