Dall’Etiopia un approdo sicuro e legale

La ricognizione nei campi profughi al confine con l’Eritrea. Don De Pretis: “Si parla poco del perché sono costretti a lasciare i loro Paesi”

I profughi siriani dal Libano hanno fatto da apripista, alla fine di febbraio del 2016. Ma l’iniziativa ecumenica dei corridoi umanitari alla fine del 2017 ha abbracciato anche l’Africa. Nell’ambito del protocollo d’intesa con lo Stato italiano, siglato dalla Conferenza episcopale italiana, che opera attraverso Caritas italiana e Fondazione Migrantes, e dalla Comunità di Sant’Egidio hanno cominciato ad arrivare in modo sicuro e legale in Italia profughi provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia, dal Sud Sudan, dallo Yemen dove la guerra è alimentata anche dalle bombe assemblate in Sardegna… Finanziato con i fondi dell’8xmille, il protocollo prevede il trasferimento dai campi presenti in Etiopia di 500 profughi in due anni. I primi gruppi sono sbarcati tra novembre e dicembre dello scorso anno all’aeroporto militare di Pratica di Mare e a Fiumicino e sono poi stati accolti in diverse diocesi italiane – a Milano, Biella, Varese, Termoli, Bergamo, Arezzo, Avellino, Ferrara… – grazie all’impegno e alla generosità di parrocchie, istituti religiosi e famiglie.

Si lasciano alle spalle anni duri e drammatici nei campi per rifugiati in Etiopia. Campi come Mai Aini e Adi Arush nella regione del Tigrai, vicino al confine con l’Eritrea, visitati nei giorni scorsi dalla dottoressa Alganesh Fessaha, fondatrice e presidente dell’organizzazione non governativa Ghandi, che da anni si prodiga per alleviare le sofferenze di quanti sono costretti a lasciare il loro Paese – che sia l’Eritrea piuttosto che la Somalia o il Sud Sudan – e riparare in Etiopia, fuggendo da dittature o carestie. Con lei anche operatori della Caritas Italiana e della Comunità di Sant’Egidio, in una missione operativa congiunta per rafforzare la rete di collaborazioni avviate in precedenti missioni e dare così continuità all’iniziativa dei corridoi umanitari, secondo quanto auspicato anche dal segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino.

“Abbiamo trovato una situazione non molto diversa da quella che vidi sei anni fa, in un precedente viaggio”, spiega don Sandro De Pretis, sacerdote trentino che ha accompagnato la dottoressa Fessaha in questa occasione. “Sono campi dove hanno trovato rifugio migliaia di persone, in prevalenza giovanissime, anche se va detto che negli ultimi tempi per tensioni al confine il flusso di profughi si è ridotto”. Ma la situazione nei Paesi di provenienza non è mutata. “Le ragioni che spingono a partire non sono cambiate: situazioni di guerra, di persecuzione, regimi dittatoriali. Questo va sottolineato con forza. Quando vengo in Italia mi accorgo che non si parla molto delle ragioni per le quali queste persone lasciano la loro terra; ci si sofferma piuttosto solo sul fatto che sono qui. Ma tutte queste persone se ne starebbero nel loro Paese, se ci fossero giustizia, democrazia, rispetto dei diritti. Sono costretti a partire. E noi abbiamo la nostra responsabilità, perché con questi Paesi ci facciamo affari”.

La ricognizione nei campi profughi ha permesso anche di fare il punto sui progetti avviati dall’Ong Gandhi, sostenuti anche dalla Diocesi di Trento attraverso il Centro missionario, che ha raccolto l’appello a garantire il pasto giornaliero alle centinaia di bambini ospitati nel campo per minori non accompagnati. Ed è grazie all’impegno del Trentino se i profughi eritrei cristiani possono disporre di una cappella per il culto.

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