Il fotografo dell’Africa

Con il suo obiettivo mostra i tanti volti di un continente giovane, attraversato da grandi contraddizioni e in continua trasformazione

Marco Longari, fotografo della France Presse, una delle più note agenzie di stampa internazionali, ha incontrato gli studenti delle superiori della Valsugana – prima a Borgo e poi a Pergine – per raccontare cosa vuol dire fare il suo mestiere in un continente sterminato come l’Africa. Raccontare per immagini non è facile. Occorre chiedersi il perché, a chi andranno quelle foto (a lettori prevalentemente “occidentali”), a cosa servono, se non a mostrare la vita e le aspirazioni delle persone…

Da una dozzina d’anni Longari gira in largo e in lungo l’Africa. Vi abita. E’ presente in ben 47 Paesi (esclude, per mandato professionale, solo i Paesi arabi della costa sud del Mediterraneo). E’ stato in Ruanda, in Kenya, e ora risiede in Sudafrica, terra della speranza in parte andata delusa (nella terra che ha superato l’apartheid c’è oggi un presidente corrotto che ha tradito gli ideali di Mandela).

Longari mostra, con le sue bellissime fotografie, le tante Afriche, quella occidentale e quella orientale; il Sudafrica così diverso dal Mali, ad esempio. Con una miriade di lingue, non solo quelle dei colonizzatori europei, ma le tantissime sotto-lingue, le molte culture. Il fotografo della France-Press cammina e viaggia con la sua macchina al collo, s’immerge tra la folla festante o inferocita, che reclama maggiore libertà o che rivendica pane e lavoro, dignità. Il suo sguardo e la sua empatia sono fondamentali per non distorcere i fatti di una realtà sempre complessa e complicata. Cerco di cogliere – afferma – anche qualcosa al di là dell’immagine. Sapendo che anche nella folla o in una calca indescrivibile ogni persona ha una storia singolare. Sovente è in occasione delle che elezioni si concentra tutta la passione di un popolo: rabbia, frustrazioni, impotenza. Speranze. In Africa si vota in poche realtà nazionali e spesso si tratta di elezioni truccate, elezioni-farsa. Marco Longari con il suo obiettivo coglie le possibilità di cambiamento ma anche il disincanto.

Con pudore e con delicatezza la macchina fotografica rappresenta il mondo femminile in riti densi di teatralità come il funerale di un cristiano massacrato dai musulmani a Bangui, capitale della Repubblica centrafricana. O donne che scoprono un pozzo artesiano e vi raccolgono l’acqua risparmiando qualche decina di chilometri.

Il ruolo della donna – colonna delle società africane, tribali o metropolitane – è vitale in ogni aspetto e fondamentale nell’elaborazione del lutto (nel caso ad esempio, di scontri fra etnie e bande), altrimenti risentimento e odio si risolverebbero in un’esplosione sociale dalle conseguenze imprevedibili. Un ruolo, quello femminile, dirimente e imprescindibile sul fronte della guerra all’Aids che in alcune aree africane ancora miete vittime, come nel Malawi.

Al fotografo tocca anche evidenziare progressi culturali, come quello nel mondo dell’albinismo. Gli albini che in Africa tradizionalmente vengono perseguitati, rapiti, fatti a pezzi. Longari coglie storie positive come la realtà di capitani d’industria albini o passerelle di moda che segnano il rito di passaggio tra età giovanili.

Longari è stato l’unico fotografo presente all’ennesimo insediamento del presidente del Gabon: un presidente a vita, che Longari coglie non sul trono ma mentre gli fanno la barba ed è al trucco, prima dell’insediamento.

Un grande ed umile poeta delle immagini, Longari. Ci invita a vedere con occhi nuovi l’Africa, le molte Afriche. Ci invita a cogliere le grandi trasformazioni che attraversano il subcontinente. A vedere con occhi diversi – di curiosità positiva – quei popoli che emigrano e trasmigrano. Un’umanità giovane, dolente, ma carica di speranze.

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