Dentro l’Italia che si arma

Dopo la strage di Macerata il tema del farsi giustizia da soli irrompe prepotentemente nel dibattito politico. Il peso delle lobby, l’emergenza culturale ed educativa

“Pronto, Carabinieri. Hanno sparato contro le vetrate del bar”. “Pronto, correte, c’è un uomo a terra”. Vengono i brividi ad ascoltare le telefonate concitate al 112, diffuse proprio in questi giorni, di cittadini che avvisano che per le vie di Macerata un uomo si sposta in auto da un punto all’altro della città come fosse in caccia. A seminare il panico nelle strade, il 3 febbraio scorso, sparando una trentina di proiettili e lasciando a terra feriti sei uomini e una donna, tutti di colore, non è stato un terrorista “islamico”, ma un cittadino italiano di 28 anni, Luca Traini, candidato l’anno scorso con la Lega Nord al consiglio comunale di Corridonia in provincia di Macerata e simpatizzante dell’estrema destra, poi arrestato davanti al monumento ai Caduti di Macerata con ancora indosso, a mo’ di mantello, una bandiera italiana. I suoi bersagli, uomini di colore, presunti spacciatori, che nella mente del terrorista – a definirlo tale, sia pure a distanza di più di dieci giorni dai fatti, il 14 febbraio, è il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel corso della trasmissione del mattino di Rai3 Agorà – sarebbero stati responsabili della morte di Pamela Mastropietro, diciottenne del posto (tre finora gli arrestati per omicidio e occultamento di cadavere, tutti cittadini nigeriani immigrati). Una morte violenta che, ha ricordato il vescovo di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, è nata “in un contesto di droga” e dietro alla quale “c’è un lungo elenco di colpevoli”.

Odio e armi

Ora Traini è in carcere con l’accusa di strage aggravata dall’odio razziale. L’arma con cui ha fatto fuoco più volte la deteneva regolarmente. “Come molti altri legali detentori di armi era un cittadino onesto, incensurato, di condotta specchiata e possedeva armi ovviamente solo per difendere se stesso e i suoi cari: è questo il mantra delle associazioni che dicono di rappresentare i legali detentori di armi”, osserva Giorgio Beretta, analista di Opal, l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia; un’associazione promossa da diverse realtà dell’associazionismo e del mondo missionario per diffondere la cultura della pace e offrire informazioni di carattere scientifico circa la produzione e il commercio delle armi leggere. Beretta era tra i relatori al convegno promosso a Vicenza sabato 10 febbraio presso l’Istituto Missionari Saveriani sui temi – caldi, anzi, caldissimi -, considerato il periodo di campagna elettorale, della sicurezza, dei discorsi d’odio (Hate Speech), del farsi giustizia da soli, per guardare “dentro l’Italia che si arma”. A Vicenza non a caso, considerato che proprio sabato scorso si apriva HIT Show (Hunting, Individual Protection and Target Sports), la fiera e salone delle “armi comuni” che da quattro anni si svolge a Vicenza. L’unica manifestazione nell'Ue, sottolinea Opal, in cui vengono esposti tutti i tipi di armi (per la difesa personale, per il tiro sportivo, per la caccia, per collezionismo, ecc. tranne quelle definite “da guerra”) nella quale è consentito l’accesso al pubblico senza restrizioni, minori compresi (purché accompagnati da un adulto).

Operazione ideologica

“E’ evidente – spiega Piergiulio Biatta, presidente di Opal –, come abbiamo ripetutamente osservato insieme alla Rete Italiana per il Disarmo, che dietro il paravento del salone per appassionati e sportivi si cela una chiara operazione ideologico-culturale: incentivare la diffusione delle armi, soprattutto quelle da difesa personale”. Così come tutt’altro che casuale è che a Vicenza – a Hit Show, non certo all’altro appuntamento, quello promosso da Opal e Rete Disarmo! – abbiano fatto passerella elettorale il leader della Lega Matteo Salvini e altri esponenti politici e candidati sia della Lega sia di Fratelli d’Italia.

C’è un altro rischio, insito in questo tipo di manifestazioni. Lo evidenzia, sulle pagine del quotidiano Avvenire, don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi: le mostre dedicate alle armi “disinnescano l’indignazione”, rendono familiari le armi “che al contrario sono un prodotto di morte”, sdoganano l’idea che accedere alle armi “è facile, accessibile, quasi un gioco” e ciò è “pericolosissimo perché crea una cultura deleteria, che ha l’unico obiettivo di rendere le armi alla portata di chiunque”.

“In un paese in cui odio razziale, manifestazioni di stampo nazifascista e rancori xenofobi sono in crescita, la fiera delle armi non è certo un evento da sottovalutare”, aggiunge Biatta, stigmatizzando la presenza a Hit Show di associazioni e comitati che promuovono il “diritto alle armi” e chiedono leggi permissive sul possesso d’armi, sul porto d’armi per la difesa personale e la legittima difesa. Comitati che, evidenzia Opal, hanno il diretto sostegno dell’Anpam, l’Associazione Nazionale Produttori di Armi e Munizioni.

La lobby delle armi

Quest’ultima, insieme a Italian Exhibition Group (Ieg), è uno dei promotori della fiera e con Assoarmieri e Conarmi – in buona sostanza, l’intero comparto produttivo e distributivo armiero italiano – sostiene il tesseramento ai comitati che fanno azione di lobby per “addolcire” la direttiva europea 91/477 in materia di armi, evitando che in fase di recepimento a livello italiano possano essere introdotte limitazioni che potrebbero ipoteticamente danneggiare gli interessi di chi produce e commercia armi in Italia. Eppure già oggi, non mancano di far notare Opal e Rete Disarmo, la normativa per il possesso di armi è piuttosto “generosa”: “Basta essere incensurati, un’autocertificazione scaricata da Internet, alcuni controlli medici e un corso di mezza giornata al poligono per potersi portare a casa, legalmente, un piccolo arsenale”, osserva Giorgio Beretta. E fatti come quello accaduto sabato 10 a Frattamaggiore, in provincia di Napoli – un rapinatore ferito mortalmente a colpi di pistola dal titolare della gioielleria che voleva rapinare – periodicamente tornano a rinfocolare il dibattito sull’uso delle armi per difendere i propri beni o le proprie abitazioni. “Ma attenzione – ammonisce Beretta, che cura un database degli omicidi e dei reati compiuti in Italia con armi legalmente detenute – è più facile che un’arma detenuta legalmente venga utilizzata per commettere un omicidio, per tentare di uccidere qualcuno o per un suicidio, che non per cacciare i ladri”.

Deriva securitaria

Di fronte a una possibile deriva securitaria, cavalcata scientemente da ben determinate forze politiche in vista del voto del 4 marzo, vale la pena scolpirsi bene in mente le parole di don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, pronunciate all’indomani degli spari di Macerata: “Il declino, la devastazione culturale di questi anni sta portando alla luce i suoi frutti velenosi. Il riemergere di fascismi e razzismi nasce anche dall’ignoranza, che è innanzitutto ignoranza della storia. La paura ha bisogno di capri espiatori, di bersagli su cui scaricare le proprie ansie. Rischiamo di diventare una società del sospetto, del rancore, dell’odio. L’episodio di Macerata nasce da questi veleni. Certa politica, invece di trovare gli antidoti, li sfrutta e li amplifica per bassi interessi di bottega”. La risposta, per Ciotti, sta nell’occuparsi della memoria collettiva del Paese, sostenendo la scuola in questo difficile impegno educativo: “impresa ardua” perché “tutto il sistema economico e tutte le logiche del consumo sembrano congegnate per renderci smemorati, renderci persone che non pensano, che non riflettono”.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina