Sante badanti

Il libro di Simi e Di Ponte è un omaggio alle donne straniere che si prendono cura dei nostri malati e dei nostri anziani

Un libro bellissimo. Illustrativo, istruttivo, chiaro. E’ impegnativo un incipit così di un saggio, ma per queste pagine, che è più di un saggio, pure un testo poetico, vale la pena spenderle, queste parole. E’ un volume scritto a quattro mani da Liliana Di Ponte e Daniela Simi Il mio paese adesso sono due (Ets, pag. 156, 12 euro) e descrive un territorio, Lucca, ma parla di tutta l’Italia. Perché le badanti sono all’interno dello spazio domestico un po’ dappertutto. Il libro ci dice fin da subito che il termine badante è corretto. Secondo il vocabolario della Crusca badante era colui o colei che si occupava degli animali domestici – non cani e gatti – ma, in una società contadina, mucche e vitelli.

E’, oggi, il mondo delle donne straniere che curano i nostri malati e i nostri anziani quello che emerge, un mondo umanissimo e laborioso, protagoniste spesso anonime e invisibili che abitano le nostre case, i nostri quartieri, le nostre città e paesi (quante sono in Trentino, nelle città e nelle valli? Migliaia).

Sono racconti, stralci di vita, frammenti di un territorio lasciato e sempre amato – di cui si prova nostalgia. Interviste orali che ci hanno ricordato – per intensità e consistenza – quelle che realizzò negli anni Settanta Nuto Revelli, poi raccolte nel libro Il mondo dei vinti, un libro bellissimo, commuovente. Qui non si tratta più di un mondo contadino al tramonto, ma di gente generosa e gentile che se è andata all’estero è per cercare un riscatto, personale e familiare. Non siamo al tramonto, ma all’alba di un nuovo giorno.

Una cartina nelle prime pagine del libro mostra come queste donne arrivino un po’ da tutto il mondo, un caleidoscopio di voci e di culture, una sinfonia di esperienze, un inno alla vita. Sono il sostegno degli anziani e dei malati italiani. Guai se non ci fossero. Hanno lasciato nel loro paese i loro genitori, spesso i figli e il marito in lasciti di vedovanze che sovente lasciano segni di distacco e di abbandono e allora sono famiglie che si disgregano e si ricompongono. Tutte con una finalità ben precisa: cercare, intravedere, volere testardamente, pervicacemente una vita migliore.

Nel libro Il mio paese adesso sono due il parlato di queste donne – una ventina – diventa lo scritto in pagina, non ci sono correzioni sintattiche a quella che è la lingua usata dalle intervistate. Ed emerge anche un’altra cosa assai significativa e cioè che la morte dell’assistito coincide a volte con la fine dell’esperienza; per dire che non è facile passare da una famiglia all’altra come se niente fosse: sono persone non merce. Non è facile ricominciare a curare un altro estraneo.

Sono vissuti di vita di fortissimo impatto e intensità esistenziale quelli che emergono dall’incontro tra una donna straniera e una persona estranea. Due distanze e lontananze che si avvicinano dentro il ristretto spazio domestico, a volte quasi un ring in un corpo a corpo quotidiano non privo di asperità e travagli di ogni tipo. Un ring umanissimo fatto di sguardi, parole e gesti.

A lettura ultimata quello che rimane è un fortissimo senso di com-passione, viene quasi da immedesimarsi in queste vite, quelle che curano e quelle che vengono curate, come a dire che tutti siamo fragili o possiamo diventare, abbiamo un reciproco bisogno dell’altro, e prima o dopo può giungere anche il nostro turno… Un libro a sfondo sociologico – di analisi e di ricerca – con punte di altissima poesia, quando cerchiamo di uscire da noi stessi – dai nostri spesso stretti, logori, miopi interessi – per andare incontro all’altro. E’ quello che compiono ogni giorno queste donne generose e laboriose, cui dobbiamo stima e rispetto, affetto e gratitudine. Un bellissimo libro, davvero.

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