Come un seme che muore

La Diocesi di Trento in prima persona sosterrà gli uffici legali attivati in Pakistan per difendere i cristiani, e in generale chiunque sia minacciato nelle libertà fondamentali, come il diritto a professare la propria religione. L’annuncio è stato dato davanti a più di 200 persone (molti ragazzi e giovani, un bel segno) nella chiesa di San Pio X a Trento, venerdì sera 16 febbraio durante la testimonianza del dottor Paul Bhatti, medico a Treviso, fratello maggiore di Shahbaz Bhatti, assassinato in Pakistan il 2 marzo 2011. Shahbaz era Ministro dell’Armonia nazionale e delle Minoranze religiose, ruolo che poi ricoprì lo stesso Paul fino al 2013.

Il dottor Bhatti vive oggi a Treviso con la sua famiglia, ma il suo cuore è in Pakistan dove si reca costantemente anche in forza del suo essere presidente dell’Alleanza di tutte le minoranze in Pakistan.

L’incontro, molto partecipato, promosso dal Centro missionario di Trento e dalla Pastorale Sociale dell'Arcidiocesi, in collaborazione con le parrocchie di San Pio X e San Giuseppe è servito a tante persone per conoscere la situazione del Pakistan oggi e soprattutto è stata il trampolino di lancio per un impegno per l’immediato futuro.

La Diocesi di Trento – al di là dell’azione lodevole di solidarietà del Centro missionario – si assumerà dunque il compito di sostenere fattivamente in prima persona qualcuno dei sette Uffici legali disseminati in altrettante regioni pakistane, nati per difendere i cristiani – ma chiunque sia minacciato nelle sue libertà – dai soprusi del potere e delle fazioni fondamentaliste. Uffici legali che Paul Bhatti ha descritto come dei presidi della libertà e della dignità umana prima ancora che religiosa. Oggi in Pakistan ci sono avvocati ed attivisti per i diritti umani che prestano il proprio servizio – si mettono a disposizione non senza mettersi in pericolo – per aiutare tante persone colpite dall’ingiustizia dei più forti sui più deboli. Ricordava benissimo il direttore della Caritas di Padova che alle volte basta anche un centinaio di euro per liberare un povero cristo incappato nelle maglie farraginose e micidiali della giustizia pakistana e finito in galera senza che nessuno (nessuno!) si accorga di lui, dimenticato e rinchiuso. Ecco allora il lavoro prezioso di questi avvocati che hanno bisogno di essere sostenuti per le spese legali e dell’ufficio. E non a caso il nostro vescovo Lauro ha parlato a tale proposito di “concretezza di servizio” essendo stati positivamente “provocati dalla fede di quest’uomo”.

Shahbaz Bhatti è stato rievocato con parole liriche ed al tempo stesso estremamente realistiche dal fratello Paul. Shahbaz fin da adolescente già intravedeva l’ingiustizia radicale che attanaglia la società pakistana e voleva porvi rimedio, per quanto era nelle sue possibilità. Era una convinzione forte che in lui si irrobustiva sempre di più. Quella di stare vicino agli ultimi, ai meno fortunati, non importa fossero cristiani – come sovente succede, essendo una minoranza maltrattata e perseguitata – o di altre fedi o etnie o gruppi sociali.

Si nutriva di vangelo ogni giorno, per lui era come la lanterna accesa che illumina il cammino quotidiano ed era talmente sicuro di queste sue convinzioni che non gli importava granché il pericolo cui poteva andare incontro. Non a caso aveva voluto studiare nelle scuole statali (non in quelle cristiane) per poter meglio osservare come venivano trattate le minoranze, come vengono bistrattati i più deboli.

E anche come ministro sapeva benissimo dei rischi che correva. Per questo – ha rimarcato il fratello Paul – non si può parlare del suo martirio come di un fatto estemporaneo, ma come una conseguenza del suo limpido e convinto agire. Già era stata assassinata Benazir Bhutto, da poco rientrata dall’esilio e che, come Primo ministro, l’aveva voluto al suo fianco come ministro all’Armonia e alle Minoranze.

In due anni al dicastero, Shahbaz Bhatti ha portato in porto importanti riforme come una maggiore apertura in senso democratico del Senato; l’apertura nei concorsi pubblici estesa a una più vasta platea; il riconoscimento delle feste cristiane celebrate a livello nazionale. E tante altre iniziative di libertà e di speranza per tutti. Il segnale inequivoco che era benvoluto – ha ricordato il fratello commosso – è stato al suo funerale una folla interminabile, tantissimi musulmani, cristiani, indu, parsi, una fiumana di persone riconoscenti e toccate nel profondo da quella mancanza cruenta.

La sua morte non è stata vana perché il seme caduto nel solco dà frutti di pace e giustizia in tante iniziative dei microprogetti per la liberazione dei bambini schiavi, delle donne umiliate. Asia Bibi sarà liberata a breve. Quel “gigante” che è Malala fa scuola nel senso che si capisce sempre più l’importanza della scuola e della cultura per tante bambine e bambini dimenticati.

La società civile pakistana si sta svegliando. “Svegliamoci anche noi, società e chiesa trentina – ha concluso don Lauro – per vivere una fede viva, non tiepida e passiva, che agisce qui e ora ad esempio con i nostri fratelli immigrati (di cui la metà sono cristiani)”. Il tempo è adesso.

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