La mela promessa

Il Genome Editing consente di ottenere varietà di mele migliorate o resistenti. Rappresenta la prima tappa di un programma che richiede tempi lunghi e molte verifiche

Michele Morgante, professore ordinario di genetica all’Università di Udine scrive che “Il Genome Editing è la più rivoluzionaria tecnologia in campo biologico dopo la PCR, tecnica che consente di moltiplicare le molecole di DNA”.

Mario Pezzotti che insegna la stessa materia all’Università di Verona ed è presidente della Società italiana di genetica agraria, propone una definizione più articolata di questa tecnica.

“Il Genome Editing è la frontiera più recente delle tecniche di miglioramento genetico. La tecnologia, nota come CRISPR-Cas, non introduce alcun gene estraneo nel genoma di una pianta, ma modifica la sequenza in loco, riparando un gene, rendendolo inattivo o modificandolo. In particolare con questa tecnica è possibile produrre mutazioni non differenti dalle mutazioni naturali o da quelle indotte da mezzi fisici o chimici, utilizzati largamente nel miglioramento genetico tradizionale. In realtà, le mutazioni prodotte con CRISPR-Cas hanno ulteriori vantaggi rispetto alla mutagenesi chimica o fisica, poiché questo tipo di mutagenesi è mirata su sequenze specifiche ed è in grado di intervenire chirurgicamente sulla sequenza- obbiettivo del DNA da correggere”.

Un po’ come facciamo correggendo le parole di un testo al computer.

Il gene è modificato senza spostarlo dalla sua posizione naturale nel genoma e l’unica mutazione introdotta è quella che si desidera ottenere. Alla fine del processo di modifica tali piante non sono transgeniche (OGM,), ma sono identiche alle piante di partenza tranne che per la mutazione desiderata. Le piante ottenute con sistemi di Genome Editing si trovano attualmente in un vuoto normativo, in attesa che la Commissione europea si pronunci sull’applicabilità o meno nei suoi confronti dalla Direttiva 2001/18/EC, quella che si occupa di OGM e ne impedisce la coltivazione in campo. Applicando il principio di precauzione, cioè di messa al bando, in attesa di accertamenti sicuri sulla incolumità della salute dell’uomo e dell’ambiente. Il parere espresso recentemente da un avvocato francese in merito alla liberalizzazione delle piante ottenute mediante Genome Editing non risolve la questione. Anche se il vicepresidente della Commissione agricoltura dell’europarlamento, Paolo De Castro, si dichiara fiducioso in un pronunciamento favorevole della Corte di Giustizia.

La lunga premessa serve per mettere il lettore in grado di capire la portata di un incontro che si è svolto il 16 febbraio 2018 alla Fondazione Mach di S. Michele riservato ad un numero selezionato di persone: rappresentanti di sindacati agricoli, presidenti di OP ortofrutticole, amministratori di cooperative di settore. Tema dell’incontro il Genome Editing: “Le nuove tecniche di miglioramento genetico applicate ai fruttiferi”. Tre i relatori: Claudio Moser (Nuove tecniche di miglioramento genetico, cosa c’è di nuovo?); Mickael Malnoy (Transgenesi e nuove biotecnologie in mela, l’esperienza internazionale e di FEM); Arturo Pironti (Lo stato dell’arte in materia di brevetti e regolamentazione delle nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante).

Apprendiamo da Alessandro Dalpiaz, direttore di APOT, che all’incontro erano presenti una trentina di persone. I frutticoltori non sono stati invitati, ma sono in programma iniziative di coinvolgimento conoscitivo. E’ previsto un pronunciamento scritto da parte dei predetti portatori di interesse da consegnare ai vertici della Fondazione Mach. Una sorta di condivisione e legittimazione a procedere.

Meritano evidenza gli interventi dei due rappresentanti della Fondazione.

Il presidente Andrea Segré: ”Ci focalizzeremo sulle varietà migliorate per la resistenza alle patologie fungine e allo stesso tempo sul metodo di tracciabilità della stessa biotecnologia. In altre parole nel medio periodo puntiamo a diventare un Centro di competenza in grado di verificare se i prodotti vegetali abbiano subito manipolazioni o meno”.

Sergio Menapace, direttore generale della FEM: “Facendo tesoro degli investimenti e dei risultati delle attività di sequenziamento dei genomi, nei prossimi anni la Fondazione che si è posta da subito in questo nuovo settore di ricerca, potrà raccogliere i primi frutti sia nel settore vite sia in quello del melo. E’ però importante sottolineare che i tempi sono di medio e lungo periodo, nell’ordine dei dieci anni, per ottenere varietà migliorate in termini di resistenza ai patogeni o di caratteristiche nutrizionali-qualitative”:

Nel Report 2009/2010 del Centro ricerca e innovazione FEM sotto il titolo “Dalla genomica nuove opportunità nella coltivazione del melo” si legge che “Dalle analisi del genoma emerge in particolare lo straordinario numero di geni, oltre 57 mila, dove spiccano ad esempio i fattori di trascrizione (oltre 4 mila) ed i geni correlabili alla resistenza ai patogeni (circa mille). Di importanza fondamentale è l’identificazione del genoma nella cultivar Golden Delicious di numerosissimi marcatori molecolari. Un arsenale estremamente potente per aiutare i ricercatori a chiarire le basi genetiche dell’ereditarietà dei caratteri distintivi di interesse agronomico e della qualità dei frutti in modo da consentire una più rapida ed efficace attività di miglioramento genetico”.

La nostra conclusione, discutibile, ma documentata.

Possiamo infatti dire di avere avuto una costante attenzione ai documenti che uscivano dalla Fondazione sull’argomento oggetto dell’articolo. Ritenendo scontata la ricerca di consenso della Fondazione Mach da parte degli invitati all’incontro, si può ritenere che esso sia stato organizzato anche per continuare ad avere dalla Provincia adeguati finanziamenti che risultano essere stati finora  e per molti anni veramente cospicui. Sarebbe opportuno e la Provincia avrebbe il dovere di chiederlo, che la Fondazione Mach presentasse un resoconto dettagliato sui risultati. Noi ci permettiamo di definirli scarsi nel comparto della genomica, più consistenti, ma mal gestiti e utilizzati quelli  ottenuti con  le tecniche tradizionali basate su incrocio e selezione. Non sappiamo se almeno in parte velocizzate dall’impiego dei micro satelliti. Potrebbe emergere la convenienza economica  di acquistare da altri le varietà di melo resistenti come fa l’Alto Adige e ha fatto finora il Consorzio innovazione frutta che condivide l’attività con APOT e con la stessa Fondazione Mach ricevendo finanziamenti almeno in parte dall’Ente pubblico.

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