La rivoluzione digitale non aspetta

Servono infrastrutture e reti di ultima generazione, formazione intensiva, ricerca, circolazione delle idee innovative

Da tempo un’ampia letteratura avverte che è in corso un radicale stravolgimento dei sistemi economici. Ne è artefice la quarta rivoluzione industriale, quella delle tecnologie digitali e dell’interconnessione spinta, con il suo enorme impatto sull'occupazione, sui modelli aziendali, sull’economia e sull’intera società. «È indispensabile – scrive la Commissione europea in una nota del luglio 2017 – aiutare i cittadini europei ad adattarsi a tali profonde trasformazioni e l'economia dell'UE a diventare più resiliente (= capace di adattarsi al cambiamento)».

Eppure di rivoluzioni industriali ne abbiamo avute altre tre: la forza dell’uomo rimpiazzata dalle macchine, l’avvento dell’energia elettrica, l’informatica. E tutte hanno cambiato il mondo. Ma non quanto l’era digitale. «La tecnologia oggi non è solo più potente di quella del passato: è diversa», scrivono Baban, Cirrincione e Mattiello (Mind the Change, 2017). Infatti «qualunque prodotto ha la possibilità di diventare digitale, o quantomeno di partecipare attivamente a sistemi basati su logiche digitali», per cui è necessario «disimparare le proprie conoscenze obsolete per lasciare posto a nuovi modelli di conoscenza». Questo è il difficile: non basta aprire la mente al cambiamento, bisogna… cambiare la mente! La diffusione di oggetti intelligenti e interconnessi, capaci di rilevare e trasmettere informazioni sul proprio stato o sull’ambiente esterno, il cosiddetto Internet delle cose, dà un’idea del subbuglio in atto in molteplici campi: robotica, logistica, infomobilità, efficienza energetica, agricoltura, tutela ambientale, solo per citarne alcuni. «Oggi ci sono circa 14 miliardi di oggetti connessi alla rete; gli analisti stimano che entro il 2020 il numero si collocherà tra 20 e 100 miliardi – si legge nell’Indagine conoscitiva su Industria 4.0 della Camera dei Deputati (2016) -. Globalmente si stima che l’investimento su Internet industriale crescerà da 20 miliardi di dollari USA nel 2012 a oltre 500 miliardi nel 2020». Numerose le novità dell’era digitale, anche curiose, descritte nel testo sopra citato: il materasso della Sleep Number, che regola la propria temperatura e durezza in base alla qualità del nostro sonno; il robot Cozmo, che gioca con i bambini in modo diverso che con gli adulti o gli animali; la racchetta della Babolat, che raccoglie tutti i dati del gioco, perfino la potenza, la zona d’impatto di ogni colpo e il relativo movimento del braccio.

Ci attende dunque una modificazione della struttura economica senza precedenti. La fabbrica buia della Philips in Olanda, con 128 robot e appena nove lavoratori, potrebbe esserne un simbolo tanto virtuoso quanto angosciante. La fase di transizione industriale sarà più sfidante – osserva ancora la Commissione europea – per le regioni in cui si registra «la mancanza di un'adeguata base di competenze, un costo unitario del lavoro elevato e la deindustrializzazione». E l’Italia ha pochi laureati: 22,7% nell’intervallo 25-34 anni, contro una media OCSE del 40,5%.

Servono perciò infrastrutture e reti di ultima generazione, formazione intensiva, ricerca, circolazione delle idee innovative. Dopo la sbornia di promesse elettorali, su queste piste è urgente rimettersi al lavoro.

C’è bisogno di potenziare gli abbeveratoi digitali, perché i cavalli robotizzati non fuggano altrove.

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