“Ogni padre torna figlio davanti al figlio”

Mio padre faceva parte della generazione della ricostruzione: allora i figli erano davvero depositari del futuro, si lasciava un’eredità affinché la vita ricominciasse. Sono diventato padre negli anni Novanta, un tempo in cui quel mondo stabile è diventato sempre più incerto, un tempo di esodo, sospeso, in cui la promessa ha il carattere di anticipo germinale e va definita giorno per giorno nella qualità delle scelte.

Ogni padre torna figlio davanti al figlio, riconquista ciò che gli è stato donato dal padre, ossia la consapevolezza che non sei tu l’origine: qualcuno ha destinato a te la sua cura, e in questa destinazione ti ha mostrato che è stato bello nascere. Per mio padre questa era un’evidenza assoluta, per i nostri figli invece è un’esperienza che va consegnata. I figli richiamano a questo obbligo i padri, e così possono salvarli. Vale la pena nascere perché fa scoprire la profondità del sentire fraternità.

La radice della comunità sta nel mettere in comune la vita, non in solidarietà perimetrate con mura intorno, ma nell’affidarsi gli uni agli altri come tra padre e figlio. Il rapporto deve essere di reciprocità simmetrica: il padre sta vicino, ma lascia libero. Non evita le cadute: mostra che è possibile attraversare la prova affinché il figlio possa generare futuro nuovo. Il padre può accompagnare, ma deve far andare il figlio, inviarlo, mostrandogli che sa restare in piedi, anche controvento, buono e giusto: questa è la consegna del futuro. Agnese Moro scrive che il padre era preoccupato che padri e politici fossero capaci di pulire il futuro per i giovani, ossia di renderne possibile la pratica, consegnandolo come terreno su cui costruire vita, sgombrandolo da ciò che è di impaccio all’incontro fraterno. I padri diventano tali attraverso la nascita di se stessi come uomini: la nuova figura di padre deve attraversare vulnerabilità e incertezza restando forza capace di impegno per altri e con altri, costruendo reti di fraternità responsabile che danno fiducia, condividendo la responsabilità della paternità con figli di altri o addirittura con padri di altri. In una famiglia ci può essere stabilità, ma anche iniziativa e cominciamento: la fioritura di una vita fraterna che chiede alla paternità di consegnare il gusto dell’inizio, la capacità di essere lì dove la vita resiste e prova a germinare. I padri possono reinterpretare l’ultima stagione della vita come seminale: sono padri che non legano all’eredità, ma sanno slegare, obbligano ad andare in pienezza di responsabilità e tengono legati in relazione alla cura d’altri. Rispetto a quello dei padri, il tempo dei figli è veloce, può rimanere molto superficiale, ma tempi diversi che si incontrano possono stimolarsi all’essenzialità, al fermarsi per capire chi stiamo diventando. Oggi è il tempo della veglia, del discernimento, che richiama la promessa dell’alba, di un nuovo inizio.

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