La poesia che nasce dall’arte

Il grembo, la mano, il pozzo, il secchio, il vaso. Cavo è ciò che, rientrando, è superficie accogliente. È il rifugio che ospita l'uomo, la terra che accoglie il seme. Dunque cercare riparo non significa fuggire dal mondo, ma "desiderio di incontrare la propria ombra, l'Alterità, Dio" perché è nel rapporto con l'altro, nella differenza, che si scopre l'io.

Quella che percorre Massimo Parolini, laureato in Filosofia all'Università Ca' Foscari di Venezia e insegnante di materie letterarie nelle scuole superiori del Trentino, è "La via cava" (LietoColle 2015), una raccolta di poesie attraverso le quali l'autore, nato nel 1967 a Castelfranco Veneto, indaga i temi dell'estetica e della teologia, presentata martedì 19 nella sala degli Affreschi della biblioteca comunale di Trento insieme allo storico d'arte Roberto Pancheri e a monsignor Lodovico Maule.

Per introdurre il complesso di liriche, suddivise in sei sezioni, Pancheri ha letto "I fari" di Baudelaire, poesia con la quale il poeta maledetto era riuscito a cogliere in rapidi tratti l'essenza di alcuni artisti – da Michelangelo a Rembrandt, da Goya a Delocroix – e il loro messaggio. "Il testo di Parolini – ha commentato il critico d'arte – si inserisce in un filone minoritario ma prestigioso che vede la poesia farsi interprete delle arti figurative, in un rapporto fecondo già esistente nella letteratura greca e che si fa risalire a Omero nel momento in cui canta lo scudo di Achille, descrivendone i rilievi istoriati". Si tratta della letteratura ecfrastica, ossia la letteratura che riproduce attraverso le parole un'esperienza visiva, di ascendenza classica fino alle odierne esperienze di critica d'arte in versi.

Prendendo spunto da alcuni componimenti di Parolini, poi letti dall’autore – “L’ultima Emmaus”, dedicata a Caravaggio, “Campo di grano con volo di corvi”, a van Gogh, “Il Dio cavo”, ispirato ad un’opera di Lucio Fontana -, Pancheri ha evidenziato quanto l’opera d’arte sia stata di ispirazione al testo poetico, che, al tempo stesso, permette di coglierne ulteriori sfumature e dettagli. Tale legame è emerso anche grazie alle letture teologiche offerte da monsignor Maule in riferimento alla sezione “Il Dio che viene”. Il teologo ha posto l’attenzione sul rapporto tra fede e bellezza e tra fede e arte, relazioni che fanno vacillare il dubbio e ritrovare la via dell’attesa, del dono, della speranza. “Il tema comune di queste poesie che nascono dalla contemplazione di opere d’arte, sembra essere quello del Dio che si svela e si nasconde, e solo la fede, che è l’opposto di ogni certezza, può suggerire qualche risposta mentre siamo in ricerca”.

Particolarmente significativa la lirica “Venezia, monastero benedettino di S. Giorgio”: “Una è la frase che ora si incide/ nel cavo nudo del cuore:/ l’io vuole liberarsi in Dio…/ Ma per un triste incidente/ per un’insana m_io_pia,/ l’uomo moderno dell’occidente/ ha letto la frase in modo diverso:/ l’io vuole liberarsi da Dio…/ (…) Turista di tutto ma non di se stesso…”. Suggestiva la “Nuvola d’anzol sulla città” del pittore Pietro Verdini, presente in sala, accompagnata da questi versi: “Non serafino, non cherubino/ (…) forse una specie di siepe/ a difesa di morbidi grembi/ un guardiano che cura l’attesa/ di una vita nuova che verrà:/ la notte, blu d’alchimia,/ riposa e non sa”.

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