Sua maestà il torchio

Non li costruisce quasi più nessuno e presto scompariranno del tutto, i torchi per vinacce, al pari dei frantoi tradizionali utilizzati fin dalla notte dei tempi per estrarre l’extravergine d’oliva. Sono ingegnosi marchingegni ad oggi quasi del tutto desueti, sostituiti da capienti tramogge d’acciaio inossidabile: da un lato si riversano cumuli d’uva, dall’altro sgorga il mosto concentrato. Ma c’è chi muove controcorrente e ha rimesso in azione, seppure simbolicamente, un fenomenale esemplare di torchio di larice e rovere che fa da pendant a quello raffigurato nel quattrocentesco Ciclo dei Mesi di Torre Aquila al Castello del Buonconsiglio.

A Pergolese ha spremuto la sua prima uva, rigorosamente autoctona Nosiola, in casa dei suoi ideatori e artefici catturando lo sguardo di decine di persone trepidanti assiepate in cantina, novanta delle quali al rientro dal trekking sul “sentiero della Nosiola”. La quarta generazione di viticoltori Pisoni, che da alcuni anni coltivano e imbottigliano strizzando l’occhio al bio, lo hanno svelato al pubblico in prossimità della Settimana Santa quando per consuetudine i grappoli spargoli e surmaturi di Nosiola baciati dal sole e accarezzati dall’Ora gardesana si prestano alla trasformazione meccanica, a sublime coronamento dell’appassimento degli acini su appositi graticci. Dopodiché il ricavato fermenta a poco a poco prima di subire il travaso in barrique di rovere riposando un quinquennio, quel tanto che basta a dar vita a un piccolo capolavoro d’enologia conosciuto come Trentino Doc Vino Santo.

Ed è per conferirne lustro che l’Ecomuseo della Valle dei Laghi, in collaborazione con l’Apt del capoluogo, ha voluto celebrare il rito della spremitura presso la Cantina Pisoni in compagnia dell’Associazione vignaioli del Vino Santo gomito a gomito con la Confraternita della vite e del vino di Trento che ha visto il Gran Maestro Enzo Merz dare il là alle operazioni dimostrative.

Un’eredità culturale, quella della vinificazione della Nosiola, foriera di importanti risvolti economici e d’immagine territoriale le cui radici rimandano alle parole dello storico Mariani in tempi di sessioni conciliari: “vini squisitissimi, bianchi, rossi e rosati dei colli di Trento e vini dolci di Santa Massenza”.

Il torchio dei Pisoni, dotato di una vite senza fine alta circa tre metri da ruotare a mano e capace di esercitare una pressione stimata nell’ordine di diversi quintali, ben si abbina alla batteria di botti asburgiche e alla fresca e profonda grotta di maturazione dello spumante sui lieviti.

In Cantina spicca pure il “vigneto storico”, ampio duemila metri quadrati e bandito ai mezzi meccanici, le cui piante prive di innesto sono affidate a tutori in castagno della Valsugana. Vi si ricavano con immutata passione, secondo la maestria e l’arte della tradizione locale, modesti quantitativi di vino Mesum.

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