Cittadinanza alla morte

“Abbiamo paura di affrontarla, invece la morte è figlia di stati nascenti”

"Dare cittadinanza al tema della morte è un atto coraggioso: abbiamo paura di affrontarla, invece la morte è figlia di stati nascenti. La vita è un dono di altri, poi dipende da una nostra scelta rinascere: ho capito che con le stesse energie generative che avevano accompagnato il dare alla luce, potevo mettere al mondo anche la morte, figlia della vita". È una delle riflessioni provocatoriamente illuminanti condivise da Arianna Prevedello, scrittrice e consulente di cinema e comunicazione (www.violadelpensiero.it), dialogando con Antonella Carlin durante il terzo incontro dell'itinerario formativo "Nascere e rinascere: la sfida dell'umano" promosso dall'Associazione Oscar Romero e dalla casa editrice Il Margine, svoltosi sabato 21 aprile al convento dei Padri Cappuccini, a Trento.

Dopo aver perso il marito Mauro, padre della piccola Viola, scomparso nel 2013 a 35 anni, l'autrice ha testimoniato come sia possibile rinascere dal lutto, tempo di dolore e faticosa elaborazione, ma al tempo stesso stagione della vita in cui, pur vedendo deviato per sempre il proprio percorso, si generano dinamiche di creatività impensate che orientano la rinascita.

"C'è un tempo di morte perché la scomparsa di un caro crea una frattura profonda e qualcosa ci porta di là, vorremmo essere ancora con lui, poi dobbiamo tornare di qua, e non è affatto scontato – ha esordito Prevedello, trasferitasi in Alto Adige un anno fa, e da gennaio gestrice del B&B "Dimora La grazia-Ritorno alla vita", la casa in cui viveva a Padova, anch'essa rinata aprendosi all'ospitalità turistica -. Si fanno progetti che poi vengono frantumati in un attimo, ma è importante non essere prigionieri di quello che è stato. Con il primo libro ho tentato di tracciare un percorso intessuto di 15 parole che affrontano questa sfida". La grazia di rialzarsi (San Paolo, 2017) è stata una modalità di resistenza espressa attraverso la scrittura che, partendo dal racconto intimo della propria esperienza luttuosa, scandita da "quindici parole per rinascere dal dolore" – da #Lacrime a #Fotografie, da #Solitudine a #Sogni -, si è poi aperta alle storie di altri, raccolte nei 25 “quadri” di vita quotidiana appena usciti di Il corredo invisibile. Tutto ciò che serve è già sotto ai tuoi occhi (San Paolo, 2018), arricchiti dalle illustrazioni di Brunella Baldi.

"Ciò che è interessante della morte è che ci riporta a dare attenzione a ciò che prima consideravamo scontato, riscoprendo il significato di gesti e abitudini, come il sedersi a tavola sapendo che però c'è un posto che rimane vuoto. Dobbiamo fare i conti sia con l'assenza che con il desiderio di rinascere, che ha tempi di evoluzione da rispettare, ed è difficile sentirsi compresi in questa anomalia. Per gli altri non è facile stare vicino a chi soffre, ma alcune frasi sono un insulto in termini emotivi: vogliono far tacere il dolore mettendo un coperchio e bisogna rimandare al mittente quelli che esigono da noi l'essere gli stessi di prima".

Nasciamo perché qualcuno ci ha fatto spazio nel mondo, mentre rinascere implica la fatica di crearci il posto che pensiamo di meritare per noi stessi: "Il lutto ha le sue conseguenze, perdiamo qualcosa di intimo, io non ricordo più la voce di mio marito e questo è un tempo di scarpe rotte: da lì entra freddo, il bagnato, siamo esposti, camminiamo soli, però tornare al mondo è un mistero ancora più affascinante della nascita. Acquistiamo altre capacità e, anche se in una società tecnologica come la nostra corriamo il rischio di sentirci disadattati, non possiamo sprecare la vita".

I passi che consentono di ripartire non sono azioni eroiche o spettacolari: "La fatica più grande è sperimentare la solitudine, e la felicità altrui ti imbarazza, ma la montagna mi ha salvata: per me e Viola, che siamo senza dimora, rappresenta un riparo che calma il nostro vuoto affettivo. Il cinema è stato il mio rifugio, una preghiera laica – ha proseguito Prevedello mostrando alcune scene di "Still Life" di Uberto Pasolini ed evidenziando il valore terapeutico e spirituale del linguaggio cinematografico. Definire il lutto "generativo" è un paradosso, ma indica che possiamo imparare qualcosa che permette di gustare in modo più sapiente la vita: "Ci sono giorni in cui sentiamo che qualcosa ci rialza: è un dono. Rialzarsi non accade una volta per tutte, ma non dobbiamo chiudere la porta alla possibilità del cambiamento".

E la fede? "Dio non basta, abbiamo bisogno della tenerezza degli altri, di un mondo più umano. Ci sono parole del Vangelo che mi hanno aperto gli occhi ed è stata la morte a far rinascere la mia fede, facendola evolvere". Forse allora la vera grazia è la spinta innata a rigenerarci continuamente nell'andare incontro alla vita, imparando a essere fiduciosi e riconoscenti per la ferita che ci ha aperti ad una dimensione più autentica dell'esistenza. Ferita insuperabile, esigente e rischiosa, ma a chi la sa accogliere offre nuovi ingredienti con cui impastare il pane dell'umanità e della condivisione.

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