L’assegno che favorisce l’inclusione

Sono 130 mila i trentini (uno su quattro) interessati al nuovo “assegno unico provinciale”

Se circa 130 mila trentini, uno su quattro – tanti sono gli interessati al nuovo «assegno unico provinciale» – hanno diritto ad almeno un aiuto fra quelli previsti per sostenere il reddito, le famiglie con figli minori, le spese per l’asilo nido e le esigenze di familiari invalidi, siamo di fronte a un sistema solidale o a una forma di assistenzialismo?

Aiuta a farci un’idea in proposito il Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa (2017), in cui la Commissione europea fa sapere che «nel 2015 la spesa pubblica per la protezione sociale nell’UE ha rappresentato il 40% circa della spesa pubblica complessiva (quasi un quinto del PIL). Otto Stati membri — Finlandia, Francia, Danimarca, Austria, Italia, Svezia, Grecia e Belgio — hanno destinato almeno il 20% del PIL alla protezione sociale». Ciò nonostante permangono vistose disparità. «Tra le famiglie – continua il documento – il 20 % più ricco guadagna in media cinque volte di più del 20 % più povero. I livelli più elevati di disparità di reddito si registrano in Romania, Lituania, Bulgaria, Lettonia, Cipro, Estonia e Italia». Anche in società prospere come le nostre aleggia lo spettro della povertà: il rischio di esclusione sociale è in aumento e attanaglia un quarto della popolazione europea, benché in genere la spesa sociale non sia diminuita.

Nei modelli di welfare si annida dunque un serio problema di efficacia e di equità, che penalizza soprattutto le famiglie numerose prive di sicuri redditi lavorativi.

Qualcosa, dunque, bisogna pur fare. Nel suo piccolo, la Provincia di Trento cerca di coltivare buone pratiche redistributive,come appunto l’assegno unico, che si basa su tre pilastri.

Il primo è la semplificazione. L’assegno unico ingloba le quattro forme di aiuto citate in apertura, per le quali in precedenza servivano più domande. Si stima che da ottobre 2017 alla fine dell’anno le domande unificate (idonee) saranno poco meno di 40 mila, delle quali oltre un quarto rivolte a due, se non a tre o a tutti quattro gli aiuti: evidenti lo snellimento e la maggiore efficienza burocratica.

Il secondo pilastro è l’inclusione: il reddito disponibile delle famiglie trentine in difficoltà viene integrato fino a un livello minimo da 6.500 a 11.400 euro annui, in base al nucleo. Mediamente l'importo percepito è di 200 euro al mese. Non c’è da arricchirsi, ma per le 10.340 famiglie che ne beneficiano (contro gli appena 600 casi stimati a carico della corrispondente misura nazionale) questa è un’àncora di salvezza. E così le altre misure, che toccano 38 mila famiglie.

Terzo pilastro, la condizionalità. A fronte delle consistenti risorse erogate (il sostegno al reddito costa 25 milioni, la quota figli 41, la quota asili nido 3, la quota invalidi 12) i beneficiari dell’assegno hanno precisi doveri: i disoccupati devono impegnarsi con i centri per l’impiego in un percorso di formazione e accompagnamento al lavoro, mentre per le famiglie in carico ai servizi sociali è obbligatorio un percorso guidato da questi ultimi. Chi rifiuta questi impegni, perde i benefici, come già accaduto a ben 770 famiglie. Sembra che il metodofunzioni: un terzo dei disoccupati ha già trovato lavoro. 

Un’inclusione sociale responsabile, che spinge le persone a riscattarsi dalla condizione di bisogno, è forse il miglior antidoto all’assistenzialismo.

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