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La costante preoccupazione per il miglioramento qualitativo della produzione viticola trentina

Orientamenti varietali

I vitigni attualmente più rappresentativi sono i Lambruschi con 243.000 q.li; seguono le schiave con 220.000 q.li; il Merlot con 171.000 q.li e il Teroldego con 146.000 q.li. Tra i bianchi predominano la Vernaccia con 45.000 q.li ; i Pinot con 35.000 q.li e il Nosiola con 35.000 q.li. In un convegno indetto dal Comitato Vitivinicolo si è ritenuto necessario per i prossimi anni un maggiore potenziamento di alcune varietà ancor troppo poco diffuse: Marzemino gentile, Lagrein, Cabernet Franch e Sauvignon, Schiava media-gentile e grigia. Per le uve bianche sono state indicate Chardonnay e Pinot bianco, Müller Thurgau e Traminer aromatico.

(Articolo di Gino Salvaterra intitolato “Orientamenti varietali per il miglioramento qualitativo della produzione viticola trentina” pubblicato sull’Almanacco Agrario edizione 1970)

Frutticoltura in Valsugana

L’attuale produzione frutticola della Valsugana si aggira sui 100 mila q.li di cui 60.000 di pere e 40.000 di mele. Aggiungansi 3.000 vagoni di ciliegie. L’aspetto varietale è quanto mai vario e numeroso. Troppe varietà e varietà in gran parte superate. Sarà opportuno limitare la scelta ad uno standard varietale ristretto a poche cultivar, le più adatte ai singoli ambienti, le più conservabili e le più richieste dai mercati internazionali. Per il melo la varietà principale dovrà essere la Golden Delicious e solo dove essa non trova ambiente confacente si ripiegherà sulla Jonathan o sulla Starking. Nei riguardi del pero la varietà più adatta nelle zone ventilate è la Buona Luigia. Per la Buona Cristiana Williams e la Kaiser c’è da temere la concorrenza da altre zone più fertili e a loro più confacenti. Oltre al melo e al pero in Alta Valsugana c’è pure una promettente coltivazione di ciliegi. Gli impianti devono essere fatti in forma specializzata.

(Articolo di Gino Salvaterra intitolato “Prospettive frutticole della Valsugana” pubblicato su Almanacco Agrario 1968)

Operazione Schiave

I quantitativi unitari di produzione di uve Schiava hanno avuto rilevanti aumenti in questi ultimi decenni come di seguito specificato: 1951 q.li 96.000 su 619.000 complessivi pari al 15%; 1970: q.li 439.000 su 1.250.000 complessivi pari al 35%.

Il balzo in avanti così cospicuo fatto dalla Schiava nello schieramento varietale della provincia è dovuto in gran parte all’”operazione Schiave” iniziata 20 anni fa.

Quando si parla di Schiava senza specificare si intende sempre la Schiava grossa in quanto da noi è la più rappresentata. Le altre sono poco redditizie. Se c’è un vitigno a cui meglio si adatta il detto latino “Baccus amat colles ed saxa durissima” questo è la Schiava. Essa infatti dà produzioni di qualità solo se posta in collina, su terreni ventilati, profondi, di medio impasto preferibilmente calcarei o basaltici.

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