Con una opposizione così debole il governo giallo-verde non fa fatica a sentirsi imbattibile
Nelle stanze del governo si sta lavorando ormai al documento di economia e finanza (il famoso e famigerato DEF) che porta alla stesura del bilancio di previsione 2019. E’ il passaggio che tutti attendono, operatori economici (con le note agenzie di rating), leader politici, uffici di Bruxelles e osservatori internazionali, per valutare il futuro prossimo del nostro paese.
Fino a ieri sembrava che tutto ruotasse intorno alle sfide che Cinque Stelle e Lega volevano lanciare a tutto il mondo per imporre subito i propri obiettivi e intorno alla responsabile resistenza del ministro Tria che si affannava a dire, da persona responsabile qual’è, che il nostro paese non ha alcuna intenzione di buttarsi in un baratro di avventure.
Inaspettata è arrivata una svolta del vicepremier Salvini, che, pur con un po’ di battutine ironiche per salvare la faccia, ha annunciato che nessuno ha intenzione di sforare irresponsabilmente le regole stabilite a livello europeo. Se sia un ennesimo fuoco d’artificio retorico o una reale presa di coscienza dell’impossibilità di dar corso alle fantasmagoriche promesse elettorali ce lo diranno i prossimi mesi. Intanto però registriamo che per la prima volta il “Capitano” (come amano chiamarlo i suoi) ha detto che quanto promesso nelle elezioni non è qualcosa da realizzare subito ma un programma di legislatura che dunque troverà compimento in cinque anni con passaggi graduali. Non è quanto aveva dichiarato in campagna elettorale, ma soprattutto non è quello che ancora in questi giorni sostiene Di Maio, che invece, da bravo Masaniello versione 4.0, ha bisogno di dare subito in pasto alle sue truppe qualche riforma rivoluzionaria. Il taglio dei vitalizi ai parlamentari, ammesso che vada veramente in porto, non ha scaldato abbastanza la sua base e infatti i sondaggi registrano un certo calo di consensi (sembra sui 4 punti percentuali: il numero assoluto rimane alto, il 28%, ma quando si regredisce il segnale d’allarme scatta).
Ci sarebbe da chiedersi se le opposizioni siano in grado di inserirsi in questa dinamica, ma la loro situazione è talmente avvolta nella nebbia che c’è da dubitarne. Forza Italia non può rinunciare al tentativo di ristabilire l’aggancio con Salvini, anche se deve attaccarlo per evitare fughe dei suoi verso i lidi leghisti, ma anche il vicepremier ha realizzato che, specie in vista delle prossime elezioni regionali, scardinare il centrodestra non gli conviene, perché sa che nelle urne non può sostituirlo con una alleanza coi pentastellati (che del resto questi non vogliono, perché farebbe loro perdere un mucchio di voti).
Il PD è prigioniero della sua crisi interna, ridotto ormai ad una federazione di tribù che si combattono aspramente in vista di un congresso che prima o poi saranno costretti a fare. Così non riesce ad elaborare altra strategia che la fiacca e un po’ stucchevole ripetizione del “come eravamo bravi noi prima che arrivassero questi incompetenti”. Non è una via che porta lontano per due ragioni che però i vertici del PD si rifiutano di prendere in considerazione. La prima è che l’elettorato ha giudicato la politica dei loro governi (a quasi tutti i livelli) non cattiva, ma semplicemente inadeguata a rispondere alle esigenze di un momento di cambiamento in cui il vecchio mondo declinava. La seconda è che non è così pacifico che la loro classe politica fosse poi quella meraviglia di cui essi si vantano (ma parlano di loro stessi!!). Se hanno avuto diverse figure di ottima statura, ne hanno avuto altre molto ordinarie e altre piuttosto mediocri. Su tutto si è stesa l’ombra cupa di Renzi, leader fallito che però i suoi, che ancora dominano buona parte del partito, si ostinano a presentare come il grande innovatore incompreso.
Con una opposizione così debole il governo giallo-verde non fa fatica a sentirsi imbattibile. Certo le opposizioni si illudono di poter giocare sulle diversità di vedute delle due componenti, mentre dovrebbero sapere, anche per esperienze di coalizione che in passato hanno fatto esse stesse, quanto forte sia il collante del potere, soprattutto quando in posizioni chiave sono arrivate persone che hanno magre prospettive qualora dovessero uscire da quei ruoli.
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