Romano Guardini, uomo ponte

Sono trascorsi quasi cinquant’anni dalla morte di Romano Guardini, avvenuta a Monaco di Baviera il primo ottobre del 1968, poco dopo il rientro dalla consueta vacanza estiva presso la villa di famiglia a Isola Vicentina. Germania e Italia rappresentano i due poli attorno ai quali si costruiscono la biografia e il pensiero di uno dei grandi maestri del Novecento. Nato a Verona da padre veronese e madre trentina, all’età di un anno era finito a Magonza a causa degli impegni lavorativi paterni e per questo motivo si era poi interamente formato in Germania, decidendo di restarvi anche quando la madre, rimasta vedova, volle ritornare in Italia. Amava la cultura tedesca e nel contempo sentiva d’essere intimamente legato all’Italia, alla sua straordinaria tradizione, al calore e ai colori del Mediterraneo.

Suona dunque particolarmente appropriato il titolo scelto per il Convegno internazionale che si terrà a Trento dal 2 al 4 ottobre prossimi: Romano Guardini (1885-1968). Un ponte tra due culture. Ne sono promotori l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini”, inaugurato lo scorso anno, e il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. Un omaggio quanto mai opportuno a un pensatore attualissimo, da leggere e rileggere per comprendere l’uomo contemporaneo, apprezzato da accademici e singolarmente amato dagli ultimi pontefici: lo ha citato più volte papa Francesco, anche nel recente libro-intervista con Dominique Wolton Politique et societé, nel quale ricorda con ammirazione la sua teoria della “opposizione polare” (gli opposti si possono mantenere in tensione polare e per questo si può e si deve tendere a «un’unità che conservi tutte le diversità, tutte le identità»); prima di lui, Paolo VI possedeva numerose sue opere e lo avrebbe voluto cardinale, Giovanni Paolo II ne ha elogiato il pensiero e Benedetto XVI, che lo conobbe di persona, ha attinto soprattutto da lui l’amore per la liturgia e lo nomina ancora con stima e riconoscenza all’inizio del suo Gesù di Nazaret. Lo si è definito un «padre della Chiesa del XX secolo» (l’espressione è di Hanna-Barbara Gerl, autrice della più completa biografia guardiniana), ripensando alle grandi figure del passato che unirono in sé abilità intellettuali straordinarie, fede profonda e capacità di lasciare un segno nel proprio tempo. Guardini infatti non fu solo per molti anni il docente di un corso dal titolo non poco misterioso (Filosofia della religione e Weltanschauung cristiana) presso le Università di Berlino, Tubinga e infine Monaco, ma fu un sacerdote di squisita sensibilità e un coraggioso educatore di giovani alla libertà interiore e al discernimento storico. Era un uomo timido e schivo per carattere, estraneo a ogni protagonismo, ma talmente incisivo e pericolosamente limpido da indurre le autorità naziste a revocargli nel 1939 la nomina universitaria, a confiscare il Castello di Rothenfels, sede di molti suoi incontri formativi, a chiudere la rivista legata al “suo” movimento giovanile Quickborn, a impedirgli di parlare in pubblico.

Basterebbero questi pochi tratti biografici e intellettuali per motivare la conoscenza e la lettura di Guardini oggi, ma altrettanto invitanti sono il metodo e i contenuti espressi nei suoi lavori. Essi realizzano precisamente la Weltanschauung cristiana promessa dal titolo del suo corso universitario: uno “sguardo sul mondo”, sull’uomo, sui grandi della filosofia, della teologia, della letteratura (Socrate e Platone, Agostino, Bonaventura, Pascal, Kierkegaard, Dante, Hölderlin, Dostoevskij, Rilke) plasmato dalla fede cristiana. Guardini non si sentiva in fondo né teologo né filosofo, ma era consapevole d’aver individuato un ambito di ricerca ancora inesplorato, al confine delle due discipline e provocatorio nei loro confronti. Preferiva all’astrattezza e alla disattenzione nei confronti della concreta esperienza umana, che spesso affligge entrambe, lo scandaglio delle pieghe dell’animo, delle oscillazioni dell’esistenza, delle metamorfosi subìte dall’atteggiamento religioso, dello spirito del proprio tempo, dei capolavori del pensiero e dell’arte. Intendeva mostrare come la luce della fede possa donare visibilità e intelligibilità nuove a tutti i campi dell’esperienza umana, “costringendo” ragione e fede a misurarsi senza pregiudizi con la complessità della vita per fare spazio a tutto ciò che esiste. Il senso ultimo della sua ricerca, il punto di forza e di unità di un’opera che impressiona per l’ampiezza e la varietà di interessi si possono indicare nella coscienza chiara che esiste uno “specifico” cristiano e che esso va continuamente indagato con impegno spirituale totale e scientificità esigente.

Milena Mariani e Lucia Rodler*

*membri del Comitato scientifico del Convegno

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