“L’altro, esercizio di fraternità e vita condivisa”

Don Albino Dell’Eva, vicario di zona si trova da quasi un anno a Cavalese]

[“Pochi sacerdoti? La popolazione è generalmente consapevole delle difficoltà che stanno emergendo”

Don Albino Dell’Eva, vicario di zona si trova da quasi un anno a Cavalese. Dopo essere stato responsabile pastorale delle famiglie della diocesi di Trento, ma anche assistente nell’Associazione Cattolica e Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), svolge l’azione pastorale in 11 parrocchie di cui dieci formano un’unità pastorale. Per la parrocchia di San Lugano è solo amministratore visto che appartiene alla diocesi di Bolzano – Bressanone.

Come si è adeguato al nuovo impegno?

Il compito che mi sono assegnato all’inizio è quello di conoscere, prendere visione, venire a contatto con le situazioni reali.

So che è importante continuare il cammino dei miei predecessori verso un’unità sempre più significativa tra le parrocchie. Questo significa riorganizzazione della pastorale, ma anche nuova gestione delle strutture, dell’amministrazione e della segreteria, stando attenti a investire la medesima energia nel far sentire parte di una medesima realtà le persone, i gruppi le associazioni, le comunità. Per parafrasare Massimo d’Azeglio “Non basta fare l’Italia, bisogna fare anche gli italiani”.

Il numero di sacerdoti si è ridotto nel tempo. Come reagiscono le comunità cristiane a questo fenomeno?

In val di Fiemme ci sono tre parroci per 16 parrocchie, sostenuti da tre collaboratori pastorali, di cui uno appartenente al convento dei francescani di Cavalese. La popolazione è generalmente consapevole delle difficoltà che stanno emergendo a causa di questa situazione inedita. Alcuni si motivano ad una maggior corresponsabilità, altri stanno a vedere che cosa succede, altri ancora sembrano non prendere atto della situazione.

Quali sono gli aspetti umani e valoriali che caratterizzano il territorio di Fiemme?

Sono qui da poco tempo per esprimermi sul tema. Parlo quindi per sensazioni più che per documentazione. Mi sembra di vedere molta intraprendenza e laboriosità, un legame forte con il proprio territorio, la propria storia e le proprie tradizioni, perfino con un pizzico di orgoglio. Quanto alla vita cristiana, colgo una tenuta sostanziale, ma anche in questa valle mancano all’appello soprattutto le giovani generazioni.

Quali sono le buone pratiche da sottolineare e valorizzare?

Nella prossima assemblea pastorale saranno presentate due esperienze che si segnalano per novità ed efficacia. A Cavalese e dintorni, una nuova forma di annuncio del Vangelo, mediante il ritrovo in piccoli gruppi di adulti attorno alla parola di Dio, senza pretese esegetiche o teologiche, ma semplicemente come confronto comune con la propria vita. Poi abbiamo una esperienza riuscita di collaborazione tra l’associazione “Noi oratori” e la pastorale giovanile nell’alta valle. Sono tentativi di far sentire Dio ancora significativo per la vita di giovani e adulti, contrariamente a quello che una cultura dell’indifferenza e dello scarto vorrebbe farci credere.

Quali invece i punti su cui è necessario lavorare più intensamente?

Anche in questa valle, come in molte parti del Trentino, l’individualismo sembra essere la cifra emergente. Si fa fatica a sentirsi comunità, è in crisi il senso di partecipazione, ci si rifugia volentieri nel privato. Tutti abbiamo bisogno di alimentare un’altra visione della vita, dove l’altro non sia un inciampo, un ostacolo o un fastidio, ma l’occasione di esercitarsi in fraternità e vita condivisa. In questo il Vangelo ha delle potenzialità ancora inesplorate dal punto di vista non solo ecclesiale, ma anche culturale e quindi sociale.

Fiemme e accoglienza? A che punto siamo?

Non si può rispondere in generale. C’è chi ha fatto spazio alle richieste di ospitalità e chi no. Bisogna anche dire che non tutte le parrocchie e i comuni hanno strutture adatte. A Predazzo la disponibilità è giunta da un privato, mentre a Castello è la parrocchia che ha offerto la canonica. Come dicevo, non ho ancora il polso della situazione, ma credo che si potrebbe fare qualche sforzo in più da parte di tutti: istituzioni ecclesiali, civili e privati. Ma per riuscire in questo c’è ancora molto da lavorare nell’abbattere muri e pregiudizi che alimentano paure spesso ingiustificate.

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